Buongiorno a te ♡
Evviva! Siamo (forse) in vacanza! Gli esami di Stato sono agli sgoccioli, molte commissioni si sono già sciolte, alcuni di noi hanno già saggiato la temperatura del mare.
Che cosa ci facciamo qui, allora?
Non so se sia un bene oppure un male, ma (almeno per me è così!) l’atmosfera che mi sto costruendo intorno non è tanto diversa da quelle di febbraio oppure di settembre. È vero che percepisco degli improvvisi batticuore al pensiero di potermi crogiolare, senza sensi di colpa, nella prospettiva di un pomeriggio tutto dedicato alla pila di libri presi dalla biblioteca, tuttavia non sta cambiando affatto, in queste giornate, come penso alla scuola né quello che desidero per me da essa.
Questo come e questo cosa sono poi ciò che mi impegno a riportare nelle pagine successive che scrivo e ti invio ‘per posta’
Non ci penso proprio, a vivere in modo ‘bulimico’ le settimane estive; non mi pongo il traguardo di accumulare nuove competenze (ops… però domani inizio una settimana intensiva di corsi in Università Cattolica!) né di programmare le lezioni fino a dicembre 2024! Però mi piace - molto, moltissimo - indugiare su ciò che, in un passato più o meno recente, ha solleticato il mio interesse.
Ecco… proprio così. L’estate è il tempo dell’indugio.
(ricordi che ad esso avevo infatti dedicato la prima estate delle Lettere? ↓)
La prospettiva dell’indugio, del resto, è l’idea di fondo che ha dato origine a I Martedì delle Lettere…
Ormai siamo al quindicesimo martedì, al quindicesimo percorso mensile di - come vuoi chiamarla? - formazione? autoaggiornamento? approfondimento culturale? Per me, che li immagino e li porto ‘su carta’, sono semplicemente brevi soste su temi, pensieri, azioni del fare scuola e del fare cultura, insieme a tutti gli adulti che (a vario titolo) si occupano di educazione dei giovani.
Ho iniziato dunque lo scorso martedì e proseguirò ancora per altri due a ragionare su che cosa significa aderire ad una declinazione di ‘educazione’ che desideri avere a che fare con persone. La scorsa settimana ti raccontavo come questo sia uno sguardo tutt'altro che scontato o assodato, nella scuola attuale.
Per questa ragione ho pensato potesse essere interessante chiedersi su quali basi possiamo ritenere fondi una simile evoluzione, di pensiero e di politiche. O comunque quali conseguenze essa rechi o che cosa essa implichi.
Ti ricordo le domande che ci eravamo posti.
Qual è la cifra dello sguardo che il docente rivolge al suo studente nel momento in cui (se) lo dichiara come persona?
Quale moltitudine contiene quell’oggetto che definiamo persona?
Quali attributi vogliamo che questa persona giunga a riconoscere in se stessa in modo da potersi considerare tale?
Rileggo quelle tre domande e mi sembra che nessun docente (o genitore, se è per quello) possa esimersi dal porsele. Martedì scorso avevo provato ad addentrarmi anche nella concretezza della didattica, per trasformare quella che potrebbe essere solo astratta riflessione in una proposta attiva e puntuale da rivolgere agli studenti.
Oggi ti propongo di accompagnarmi nella riflessione che ci permetterà di capire che, quando considero il mio studente una persona, sto agendo in modo molto più definitivo, profondo e politico del manifestargli una generica ‘empatia’.
Se ti interessa, puoi seguirmi nelle prossime righe…
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