Buon lunedì ♡
Riemergo - o perlomeno tento di farlo - da una settimana piuttosto difficile a livello di salute. Una settimana nella quale non ho nemmeno avuto il desiderio di leggere o di scrivere… inaudito!
Martedì rientrerò in classe ed ho in progetto una bellissima attività sul sistema nervoso: un’attività di ricerca, lavoro sulle fonti, narrazione, argomentazione etc. Te ne parlerò sicuramente a breve!
Torno con il pensiero che è una classe terza, che ci stiamo avviando all’esame di Stato, che i miei studenti stanno per prendere una decisione che abbraccerà buona parte del loro immediato futuro; penso al certificato delle competenze, al significato di “competenza”, all’E-portfolio che (forse! a meno delle solite strambate all’ultimo secondo del Ministero) l’anno prossimo sarà ancora da compilare; penso al docente tutor e al docente orientatore che (forse! a meno delle solite strambate all’ultimo secondo del Ministero) saranno affiancati ad ognuno di loro…
Questi pensieri - non sempre e non del tutto gradevoli, come puoi immaginare - trovano un riflesso in due articoli che mi permetto di segnalarti e che danno voce, sebbene da due versanti diversi, a quel vago senso di nausea che provo.
Si tratta del pezzo di Alessandro Giarrettino su Letteratura e noi, e di quello pubblicato su Le nuove frontiere della scuola, scritto a quattro mani da Alessandro Zammarelli (psicoanalista) e Luca Malgioglio (docente).
Leggili, se ancora non li avevi incrociati sul tuo cammino; prenditi del tempo per riflettere.
Voglio semplicemente dirti che è bello avere imparato a non arroccarmi sulle mie posizioni, a non affezionarmi troppo a ciò che aveva partorito la mia mente e che, in un primo momento, mi sembrava così geniale.
Quei due articoli hanno contribuito ad avviare un processo che ha reso molto più duttile il mio pensiero sulla scuola. Essi sono incentrati infatti, rispettivamente, su due dei concetti che più mi stanno a cuore e sui quali ho più lavorato negli ultimi anni: l’orientamento (il primo di essi) e l’integrazione tra sfera cognitiva ed emozionale nella didattica (il secondo).
Parto dall’errore sul quale la riflessione di Zammarelli-Malgioglio mi ha permesso di lavorare: appena se ne iniziò a parlare nella scuola, accolsi con grande entusiasmo lo spunto di lavorare con gli studenti sulle competenze non cognitive.
Questa la definizione che l’on. Maurizio Lupi diede di esse, quando invitò la legislazione scolastica a muoversi in accordo con un potenziamento del loro raggiungimento e valutazione:
“Con character skills, soft skills o non cognitive skills si intendono tutti quei modi di definire un apprendimento in ambito scolastico e lavorativo che non sia limitato solo al coinvolge le capacità cognitive (ricordare, parlare, comprendere, stabilire nessi, dedurre, valutare) ma che implichi anche lo sviluppo di tutte quelle predisposizioni della personalità (l’apertura mentale, la capacità di collaborare, la sicurezza personale, la capacità di prendere iniziative, di pensare per problemi, la capacità di auto-regolarsi, l’affidabilità, l’adattabilità, ecc.) che sono sempre più rilevanti nella società moderna”
A mia parziale discolpa, posso dire che vi lessi un ‘semplice’ suggerimento a non perdere di vista la relazione, espressa dalla dimensione emozionale che dovrebbe sempre assumere la didattica delle discipline. Avevo appena letto il volume della dott.ssa Lucangeli… insomma tutto mi sembrava sensato.
È vero che, tra le mie contemporanee letture, vi era anche il volume di Chiosso-Poggi-Vittadini, con il suo fastidioso rintocco denominato “capitale umano”.
Ho voluto approfondire, anche grazie alla dott.ssa Eleonora Marocchini.
Al termine di questo mio peregrinare di ricerca, avevo ormai ben chiaro che è impossibile separare qualsiasi aspetto di ‘competenza’ dalla dimensione cognitiva.
Bon, punto e a capo, ritorniamo alla casella del “via”.
Al momento, mi sento di poter affermare a me stessa due piccole (credo) verità, che mi fanno stare bene e che trovo tutto sommato coerenti, tra loro e con il substrato teorico che mi aveva portato ad interessarmi di dimensione emozionale e di orientamento.
Quando decidiamo di perseguire la relazione con i nostri studenti - insegnando! - (cioè non facendo ‘gli amiconi’, quelli che pranzano insieme o fanno la smorfia dietro alla schiena del collega), NON lo stiamo facendo schiacciando il tasto di una (eventuale) character-soft-non cognitive skill! Lo stiamo facendo - ed è sacrosanto farlo! - per un altro motivo. Che ha moltissimo a che fare con l’apprendimento ma che NON sta lavorando sul piano emozionale.
Lavorare con gli studenti - sempre facendo la nostra ‘piccola’ didattica, eh! - in modalità orientativa NON significa per me
«rafforzare le condizioni per lo sviluppo di una economia ad alta intensità di conoscenza, di competitività e di resilienza, partendo dal riconoscimento delle criticità del nostro sistema di istruzione, formazione e ricerca» (da PNRR_Missione 4, la quale ha incorporato le Linee Guida per l’Orientamento, DM 328/2022)
Tutto ciò che ho scoperto, esplorato, applicato, sperimentato, condiviso in questi anni NON ha mai avuto come scopo quello di accrescere il capitale umano dell’Italia del futuro. Mi è sempre stato chiarissimo, questo (basti pensare alla declinazione ‘narrativa’ di orientamento, che ho fatto mia); meno chiare - non avendolo vissuto in prima persona nel mio ciclo di scuola - erano le storture che già l’a.s. 2023-2024 aveva posto in evidenza nella scuola superiore. Ricordo che, tuttavia, l’amica Simona Sessini mi mise in guardia subito!
E allora? A che punto sono? A che punto siamo?
Io so che continuo a trovarmi in quell’ “infima lacuna della scuola”, nel punto più celato e negletto dei pensieri sul sistema-scuola: la didattica delle discipline. Ogni giorno lavoro per dimostrare ai miei studenti - e ai colleghi nelle formazioni, ed anche a te che hai deciso di leggere i miei pensieri - che è dalla conoscenza della realtà in tutti i suoi variegati e sfumatissimi aspetti che dobbiamo muovere per trovare il nostro posto nel mondo. Per starci bene e per avere come scopo quello di fare stare bene anche gli altri (che cosa sarebbe l’orientamento se non fosse questo?).
in quell’infima lacuna troverà infatti il suo posto l’attività sul sistema nervoso di martedì!
La conoscenza. Nuda, persino fine a se stessa, a volte. Persino non “competenza”, perciò. Quando “fine a se stessa” significa semplicemente che permette di rimettere in posizione tutti i meccanismi e gli ingranaggi ‘storti’ che sentiamo all’interno.
Perché quando un ragazzo o una ragazza si sentono ‘messi a posto’ (foss’anche da un teorema di analisi matematica o da una tecnica pittorica)... accidenti, possono spaccare il mondo!
Un abbraccio e buona settimana ♡