“Chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d’esperienze, di informazioni, di letture, d’immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili”
(I. Calvino)
Buon venerdì ♡
La lettura del brano di Calvino giunge all’indomani di una riflessione estesa e condivisa all’interno di un collegio docenti, a proposito (di nuovo? … sì!) delle ore da segnare come “orientamento” sul registro elettronico.
Non è stata una coincidenza poi, che ancora una volta - benché in altro contesto - io mi sia interrogata sul concetto che studenti, famiglie e docenti associano al termine ‘talento’. Lo spunto mi è stato offerto dal lavoro che ha pubblicato Rita (Bellati) su Instagram; il successivo scambio di messaggi e opinioni con tanti colleghi mi ha poi dato la certezza che parlare di talento nella scuola, oggi, rischia di essere un discorso senza interlocutore. O meglio, di un discorso tra due interlocutori che parlano lingue diverse e in cui nessuno dei due comprende la lingua dell’altro. Quindi… è un non-discorso!
Riguardo ad entrambi i concetti - quello di orientamento e quello di talento, che poi (sarà un caso??) sono intimamente correlati - mi sembra che ci si muova ancora con difficoltà, nella pratica didattica.
E dunque rischiamo di rimanere nella convinzione che le ore di orientamento debbano essere ‘ripescate’ dalle lezioni dedicate alla presentazione dell’opera o della biografia di artisti/scienziati (circoscrivendo l’azione didattica ad alcune discipline), oppure ricondotte ad attività di narrazione autobiografica e di riflessione sui testi (ritagliando la globalità dell’insegnamento intorno alla disciplina Lettere, soprattutto!).
Questo, per quanto riguarda la didattica orientativa.
Quando il tema diventa il talento, ci si accorge come l’idea diffusa in studenti e famiglie sia quella della predisposizione innata, di per sé ineducabile. Concezione che, vagamente, mi sembra suoni anche nella descrizione della competenza n.8 - la competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturale - inserita nel nuovo certificato delle competenze al termine del primo ciclo d’istruzione:
“In relazione alle proprie potenzialità e al proprio talento, esprimersi negli ambiti più congeniali: motori, artistici e musicali”
Potremmo discutere a lungo se l’espressione e la consapevolezza della cultura siano da confinare all’ambito più prettamente motorio così come al mondo più chiaramente ‘artistico’...
Inoltre, anche in quella definizione, il talento è un extra, concesso in sorte solo ad alcuni eletti.
Se le cose stessero davvero come una scarsa attenzione ci potrebbe indurre a credere che siano - relativamente all’indicare una direzione e all’educare alla consapevolezza di una corrispondenza - allora la scuola avrebbe ben poco da fare e la sua azione sarebbe molto circoscritta. Gli insegnanti potrebbero semplicemente sancire ciò che è innato nell’individuo, amplificare le abilità già possedute e indirizzare (ma solo alcuni di loro, eh!) verso un orizzonte già predeterminato.
Soprattutto in chiusura del primo ciclo, mi sembra che sia una prospettiva agghiacciante.
Spesso ho scritto, qui, di come mi sono avvicinata ad interessarmi di orientamento e di didattica orientativa (con poca modestia, quando ancora nessun Ministero pareva doversene occupare…). Spero di non annoiarti se lo ribadisco anche in questa occasione.
Io arrivo dalla Biologia, che ad un certo punto si è intersecata con la Filosofia, prendendo la strada della filosofia del linguaggio, della biologia evoluzionistica e delle scienze cognitive. Denominatore comune di tutte: il linguaggio. Il linguaggio come attitudine simbolica - motoria, innanzitutto - e perciò come abilità cognitiva in grado di creare un ponte tra il Sé e la realtà.
Poiché - mentre studiavo tutto ciò - ero anche insegnante, iniziai a riflettere sul fatto che l’orientamento non fosse altro che un lungo processo di riconoscimento di una corrispondenza. Cioè di un linguaggio. Una corrispondenza tra la propria mente (intesa come groviglio di cognizioni ed emozioni) e quello che sta al di fuori di essa: la realtà, intesa come spazio ma anche come tempo.
Il talento è l’attitudine a percorrere quel legame che sentiamo con la realtà; è la modalità con la quale preferiamo farlo. Non è confinata nel tempo (è EDUCABILE, quindi) e va, banalmente, sperimentata, se non scoperta. L’orientamento è il percorso che io, insegnante, progetto per te. Vite di artisti? Sì, perché no? Brani di antologia? Eccome! Ma ogni disciplina è un ponte diverso, che può essere attraversato su mezzi diversi (il metodo…); un ponte che può persino crollare.
Credo sia compito di ogni docente esplorare talmente a fondo la sua disciplina da rinvenire in essa le risorse per farla diventare strada orientativa. Senza l’obbligo che queste risorse siano le biografie di chi ha animato la disciplina stessa.
Il confronto tra aritmetica e geometria non è forse altamente orientativo?
Ricordo ancora quello che mi disse un professore che stimavo molto e al quale mi ero rivolta, agli inizi del mio insegnamento, per ‘imparare ad insegnare’. Arrivai a casa sua angosciata dall’idea che mi desse dei quesiti da risolvere… e infatti fu così! Non so che cosa blaterai e come me la cavai, sta di fatto che ad un certo punto lui commentò: “Tu sei una persona algebrica e non ‘di geometria’, vero?”. Avevo quasi trent’anni, avevo frequentato un liceo scientifico, passato un concorso, ma nessuno mi aveva così chiaramente orientata nella matematica come lui in quel momento…
Che cosa aveva fatto, dopo tutto? Mi aveva sottoposto un problema e aveva guardato che linguaggio avevo scelto per risolverlo. La sua soluzione mi sembrò poi tremendamente più elegante della mia, ma era in ‘linguaggio geometrico’; io, invece, avevo preferito trasformare il tutto in sistemi di equazioni.
Che cosa mi rimase di quella che fu davvero una epifania, per me come persona e come docente?
Il fatto che, in ognuno dei venticinque anni successivi, io in classe non perdessi mai occasione (sin dalla prima media) di mostrare i diversi linguaggi che abitano nella matematica. E non soltanto questo. Mi sono sempre premurata di comunicare che nessuno di essi fosse più ‘degno’ di un altro, tutt’al più avremmo potuto parlare di diversa efficacia.
Estendendo l’ambito all’insieme di tutte le discipline del consiglio di classe, mi sembra che non potrebbero venirci dubbi sulla ricchezza di una efficiente proposta orientativa.
Nella prossima sezione torno a riflettere sulla riflessione autobiografica in sé, non necessariamente collegata alla scrittura o al testo letterario.
Voglio dimostrare come qualsiasi metodologia disciplinare possa permettere di scavare nel Sé, giocando sul delicato equilibrio tra cancellazione e conservazione.
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