Limiti
Perché la scuola NON dovrebbe assecondare la retorica del “puoi essere quello che vuoi”
Buon venerdì sera ♡
In quest’ultima settimana ho avuto modo di dare ulteriormente seguito alla riflessione sul talento, che avevo ripreso anche nel numero di venerdì scorso; e intendo proprio che sono tornata a chiedermi quando abbiamo iniziato ad incorrere nell’equivoco del talento ed a lasciarlo agire, perlomeno nella scuola, come un tranello. Ho da pochissimo ‘avvicinato’ in modo deciso (sebbene ne avessi già incrociato le parole in più occasioni) Rita Bellati, con le cui riflessioni percepisco una grande analogia di giudizio. Rita esprime il significato di ‘talento’ ricorrendo a due metafore sulle quali vorrei tornare oggi.
1. La prima di esse vede i talenti come attrezzi. “Li abbiamo a disposizione per trasformare la realtà” scrive Rita. E, di metafora in metafora, ritorno a ciò che penso (e che ho a più riprese espresso!) dell’accompagnare gli studenti a dirigersi verso il loro futuro. Mi piace infatti descrivere in termini di linguaggio quella che è scelta - o la sperimentazione - della direzione che, oggi diversamente da domani, ognuno di noi individua. Se vi è UNA risorsa che la scuola (con tutta la sua coorte di apprendimenti) può offrire *a tutti*, è proprio l’offerta di molteplici linguaggi per decifrare la realtà. In realtà non si tratta soltanto di strumenti che permettono di leggerla (cioè di conoscere) ma sono anche gli attrezzi (rubo l’immagine a Rita) che consentono di scriverla.
Se leggere la realtà è l’azione del ‘conoscere’, che cosa significa allora scriverla?
È voler ‘lasciare la propria impronta’ nel mondo, agire su di esso; agire in modo responsabile e finalizzato. Agire dando voce ad una tensione, esprimendo un giudizio.
Alla radice, quando io affronto i temi della mia disciplina, lo faccio per dimostrare a coloro che ho davanti, in classe - in quel preciso istante - che gli integrali, i limiti, il concetto di funzione permettono sia di interpretare la realtà che di plasmarla. Se della prima di queste due possibilità gli studenti sono abbastanza consapevoli (benché di solito poco felici!), la seconda rimane piuttosto oscura. Persino nell’età in cui, in teoria, la scelta della scuola superiore è già stata compiuta. Perché la scuola superiore dovrebbe essere individuata soprattutto per poter iniziare a creare nuove realtà. Chi si avvicina al liceo classico vuole mettere alla prova la propria creatività utilizzando un linguaggio che comprende la dedizione al testo oppure l’analisi delle radici storico-filosofiche dei concetti. Chi opta per un istituto alberghiero ha il desiderio di ‘dire chi è’ miscelando in modo inedito gusti e sapori, ipotizzando connessioni mai indagate in precedenza.
La scrittura sul mondo implica, tuttavia, l’aver sviluppato in precedenza una qualche sufficiente abilità di lettura di esso. Spesso, purtroppo, la scuola non riesce a comunicare in modo efficace la necessità che ‘lettura’ e ‘scrittura’ siano coltivate entrambe. E spesso, purtroppo, a scuola non riesce nemmeno a mostrare il valore di tale ‘scrittura’, tutti presi come siamo dal valutare - e ahimè, valorizzare - solo la capacità di ‘lettura’ della realtà.
Perché, dai, diciamocelo… qual è il rapporto fra le valutazioni relative alle conoscenze/competenze e quelle che si riferiscono a produzioni personali/creazioni dello studente?
Ok, questo per quanto riguarda i talenti come attrezzi.
2. La seconda metafora che propone Rita e con la quale mi trovo in sintonia vede i talenti come ingranaggi. L’aspetto che mi attrae di più nell’immagine dell’ingranaggio risiede nel fatto che essa mette in luce l’evidenza che le declinazioni della persona sono tante ed è necessario che siano in armonia tra di loro. Che la frammentazione dell’Io sia LA cancrena della società post-moderna è ormai un’evidenza nota a tutti gli studiosi; che la scuola possa concorrere - per abitudine e mancanza di riflessione critica più che per scelta, credo - alla sua diffusione, è invece una possibilità che mi terrorizza.
Qualche giorno fa, ho ascoltato un’intervista nella quale Michela Murgia descriveva la particolarità delle amicizie nate nell’età dell’adolescenza.
“Qualcuno che ti era testimone quando potevi essere tutto”
La trovo un’evocazione bellissima di questa età (l’età alla quale si stanno affacciando i miei studenti, nella fattispecie), ma ritrovo in essa anche una tragicità ineliminabile, in base a quanto ho scritto poco sopra.
Ne stavamo parlando anche mercoledì, io e Silvia, dopo la lezione-laboratorio nella sua - e di Alessandro! - classe seconda, a partire da tre opere letterarie incentrate sulla figura e l’opera di Charles Darwin.
Nella sezione seguente, vorrei proprio approfondire quella tragicità: perché mai NON dovremmo - nella scuola e durante i percorsi dell’orientamento - giocare la carta del “puoi essere tutto quello che vuoi”?
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