Riflettere
Una semplice domanda in grado di far crollare un impianto di certezze (anche disciplinari)
Buon venerdì ✰
TU, CHI SEI?
Una delle ragioni per le quali la mia formazione, in età adulta, è scivolata (anche) sul versante filosofico è data dal fatto di potersi sempre interrogare su ciò che appare ovvio.
[Cosa che dovrebbe essere la caratteristica perlomeno di qualsiasi insegnante; il ‘perlomeno’ è legato alla mia convinzione che, in generale, non esista modo più interessante, appagante e utile di vivere se non quello. Ma forse sono troppo cervellotica…]
Se già non bastasse la difficoltà oggettiva della domanda (come posso definire chi sono? il ‘chi’ non è forse legato ad un tempo particolare? ed anche, come distinguere l’essere dal fare? vanno poi distinti? etc etc), vi è dell’altro.
Te ne parlo oggi, qui, perché trovo che esso abbia molto a che vedere con la nostra professione.
Non sto pensando al tema dell’orientamento, no. Io stessa avevo sfruttato a piene mani, anche nella stesura del Manuale per l’Orientamento nella scuola media, la leopardiana citazione; ma non è a tale aspetto che sto pensando.
Sto riflettendo sul fatto che - anche quando il nostro scopo non è accompagnare i nostri studenti nell’individuare una direzione (inciso: quando mai non lo è??! ma ammettiamo di non star ‘svolgendo le ore di Orientamento’) - chiedere “tu, chi sei?” ai nostri ragazzi e ragazze solleva una questione molto seria.
La forza della domanda risiede nel fatto che, a livello teorico (ecco che compare la filosofia!) ma non solo, per poter rispondere, è sempre necessaria la relazione.
Poco male, dirai… Lo sanno anche i muri che l’educazione È, sopra ogni altra cosa, RELAZIONE. E che quindi io riuscirò a rispondere a te, che mi stai chiedendo chi sono, in virtù del fatto che esiste una relazione tra me e te.
Realtà del tutto declinabile anche sulla scuola, mi pare ovvio.
(secondo inciso: questa è la ragione per la quale il suddetto Manuale per l’Orientamento era nato innanzitutto per combattere quella visione ‘specialistica’ dei percorsi orientativi - fatta di somministrazione di test, analisi delle attitudini, visite alle aziende e compagnia bella - che a volte viene propagandata come la strategia più oggettiva ed efficace per accompagnare nelle scelte qualcuno. La visione dell’orientamento che ho invece abbracciato, che è esclusivamente narrativa (nb che non significa “utilizzando delle letture”!), consente invece di ribaltare completamente la questione. chiuso il secondo inciso)
Realtà del tutto declinabile anche sulla scuola, mi pare ovvio. (riprendo)
Tuttavia non basta, dicevo.
Non è sufficiente che io sperimenti che, per poter rispondere (oggettivamente? correttamente? estesamente?) a quella domanda, ho bisogno di un ‘tu’ che me la pone, all’interno di una relazione di gratuita stima nei miei confronti.
Vi è un’altra relazione, più essenziale ancora, che è necessario io sappia instaurare (perché me l’hanno insegnato! e che me l’abbiano insegnato a scuola, dove se no?): la relazione con me stesso.
E non sto parlando di autostima. Non sto parlando di benessere mentale.
Sto parlando di CAPIRE - perché ne ho fatto esperienza - che “io” è una cosa diversa da “io che rifletto su me stesso”.
Ok. Penso che, a questo punto, io abbia ‘convinto’ almeno un 5% degli iscritti al mio Substack alla disiscrizione! (non te ne vorrò, ma mi dispiacerà comunque, se cliccherai laggiù su quel ‘Disiscriviti’)
Eppure…
… oggi vorrei dimostrarti, nella concretezza di un esempio della mia attività didattica, che insegnare la NON COINCIDENZA tra “io” e “io che rifletto su me stesso” è l’unica cosa che conta.
L’abbiamo sempre chiamata con un altro termine, ma questo è.
(se ti interessa, puoi seguirmi nelle prossime righe, riservate agli abbonati)
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