Buon lunedì ♡
Ed eccoci qui, già...
Se insegni (e se non hai già ripreso possesso dei locali scolastici la scorsa settimana, per gli esami del recupero-debiti), è molto probabile che tu sia già per strada verso il primo collegio dei docenti.
Se non insegni e hai dei figli in età scolare, è molto probabile che tu stia assistendo da qualche giorno all’affievolirsi progressivo della loro allegria, alla comparsa qua e là di quaderni, libri di testo, fotocopie. Si sente sbuffare in sordina, noi genitori torniamo ad essere un po’ (un po’ di più) i ‘nemici’ da combattere.
Il back to school (o rentrée, che la si voglia chiamare) viene urlato su tutte le piattaforme e in ogni vetrina di negozio, assecondando la finzione che tutti lo stiano attendendo con ansia e ne vogliano celebrare il periodico ritorno.
Sappiamo bene che porterà con sé anche pianti e disperazione, consultazioni frenetiche di registri elettronici, consultazioni frenetiche delle e-mail provenienti dagli Uffici Scolastici, sguardi rassegnati e purtroppo barriere che ci eravamo forse dimenticati esistessero (quelle tra scuola e famiglia, benché le litanie sui “tre mesi di vacanza” e sulle “giustificazioni a priori dei figli” non siano mai scomparse del tutto).
Non trovi che sia un gran peccato?
Che ciò che sta al cuore di questo periodo, e del luogo che riprende vita in questo periodo (la scuola), venga immediatamente sommerso dal resto. Quello che dovrebbe essere il rumore di fondo dell’impresa educativa aumenta invece così tanto di volume da sovrastare quello che conta.
E della scuola - proprio ora, oggi - forse stiamo già dimenticando, tutti, tutto ciò che conterebbe ricordare.
Sarà che non sono più giovane (stavo per scrivere ‘vecchia’, pensa un po’!) e per me la parola ‘scuola’ si associa in modo costitutivo, ontologico, alla parola ‘studio’; sarà che ho iniziato proprio ieri a leggere Studiare per amore (di Nicola Gardini)...
Sarà… ma come possiamo illuderci di poter fare a meno dello studio, nelle nostre vite? Peggio, come possiamo accettare di farci - noi, gli adulti - (più o meno) inconsapevoli testimoni dell’opinione che lo studio sia una gran perdita di tempo? Alimentare il sospetto (tutt’altro che infondato, con i tempi che corrono…) che una remunerativa professione si possa trovare anche avendolo assolto, il suddetto studio, al livello minimo indispensabile? Utilizzarlo come arma, come minaccia, nelle aule scolastiche? Accettare, sempre nelle medesime aule, il ruolo di forze dell’ordine invece di quello di archeologi del sapere?
Vi è un solo sguardo che ci possa permettere di vivere bene, ma vivere bene davvero, cosa che non è mai una questione di denaro.
È la sensazione di “essere a posto” nel mondo; la decisione di non leggerlo - questo mondo - come una beffa perenne nei nostri confronti alla quale ci avesse condannato una divinità malevola, di non procedere al suono di grandiose vendette e infami ripicche, di non considerare il rispetto, la gentilezza, la fragilità come segni dell’animo da nascondere.
Lo studio è questo sguardo.
Perché ci fa fare esperienza del limite (nostro e di ogni altro individuo), ma anche della possibilità di fiorire, come uomini e donne, all’interno di questo limite.
È lo studio che ci fa toccare con mano la nostra infinita mancanza (di abilità, di conoscenze) eppure - per qualche strano miracolo - ci lascia felici di averla scoperta, desiderosi di provarla ancora.
Lo studio è, in definitiva, la forma più alta di nostalgia.
La nostalgia per qualcosa che non abbiamo nemmeno mai conosciuto.
Buon anno a tutti coloro che, in un modo o nell’altro, vivono la scuola, questo luogo di nostalgia.
[a proposito di nostalgia, qui ne ho scritto molto. Soprattutto in questa ⇩ occasione]
Buona settimana ♡