Una prospettiva rivoluzionaria
Il docente crea relazione non per "bontà" ma per fare meglio il suo lavoro
«L’interazione tra due individui che sviluppano un legame emotivo, intellettuale e culturale sta diventando il nuovo motore del cambiamento»
(T. Zeldin, Ventotto domande per affrontare il futuro)
Buon venerdì ♡
Ormai non è più una novità affermare che il cuore dell’attività didattica sia la relazione. Fino a non molti anni fa (lo ricorderai, se non sei proprio alle primissime armi!) vi era una generale resistenza ad estendere la necessità di una relazione educativa alla dimensione scolastica più intima: la sua (indubbia) essenza quale sistema di istruzione.
Perlomeno nei programmi - e nei proclami - la scuola viene adesso chiamata a prendersi cura, per ognuno degli studenti, anche del peso emotivo che è sempre associato all’apprendimento. Ciò che suggerisce Theodore Zeldin, e che ti ho riportato nella citazione di apertura, ha un impatto che è potenzialmente addirittura superiore:
la relazione tra un insegnante e ognuno dei suoi studenti è ciò di cui la società ha bisogno
È dalla rete complessa di tutte le azioni educative che costellano le nostre giornate in classe che può originarsi un nuovo sguardo da destinare a se stessi e all’altro. Dove per “altro” intendo tutto ciò che esula dal nostro ego rischiosamente autoriferito, e quindi anche quello che è sempre stato tradizionalmente associato alla scuola: la conoscenza del mondo. Ed infatti Zeldin si esprime proprio in termini di “legame intellettuale e culturale” “tra due individui”, un’espressione che oggi ho deciso di estendere al sistema-scuola.
Ti rendi conto della potenza di quanto stiamo affermando?
Quando diamo sostanza alla relazione con ognuno dei nostri studenti, stiamo generando uno strumento intellettuale nuovo, stiamo generando cultura. Mi sembra una prospettiva decisamente rivoluzionaria, nella quale viene riconosciuta la dimensione umana dell’apprendimento e dell’insegnamento: EMOZIONE + COGNIZIONE. La competenza didattica viene perciò completamente sganciata dalle contaminazioni morali: devo avere cura dell’umano non perché sono un’insegnante ‘buona’, ma perché sono un’insegnante. Punto.
Come si esprime in classe l’attenzione alla dimensione emozionale quando essa utilizza però il linguaggio della cognizione?
Come potrai osservare, c’entra (anche) la motivazione e il risultato sarà un’attività orientativa più efficace.
(se ti interessa, puoi seguirmi nelle prossime righe…)
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