“Orientarsi ha a che fare con la capacità (e la possibilità) di assegnare in modo consapevole un significato agli eventi e di tentare, almeno, di determinare attivamente cosa ci accade e cosa potrà accaderci, esercitando un certo grado di controllo, imprimendo una qualche direzione al nostro futuro per mezzo di scelte consapevoli e di azioni congruenti a tali scelte”
(F. Batini, Storie, futuro e controllo, 2011)
Buon venerdì ✰
Nell’ultima newsletter di Domitilla Ferrari, ho letto una riflessione che mi ha fatto immediatamente pensare a noi, alla scuola e a che cosa ci siamo messi in testa di compiere insieme a (non ‘per’) i nostri studenti, in tema di orientamento.
L’articolo, lo trovi qui, nella sezione dedicata ai consigli per leader promettenti:
Domitilla fa riferimento all’articolo apparso nella newsletter di Andrea Girolami, che trovi invece qui:
Per comodità, ti inserisco lo screenshot del punto esatto che mi ha fatta fermare e riflettere:
Lasciando perdere la questione dell’entità dell’impatto dato dall’AI nel nostro prossimo futuro, mi interessa invece avere trovato risonanza del sospetto che abbiamo ormai tutti nella scuola, e che più che un sospetto è ormai una certezza:
ai ragazzi dobbiamo insegnare come poter diventare “originale presenza nel contesto”
[di certo ne ho parlato durante le mie formazioni dedicate alla didattica orientativa, ma credo di averlo ‘spifferato’ anche qui… Quell’espressione meravigliosa è opera della prof.ssa Luigina Mortari, mia ispiratrice per quanto riguarda tutta la ricerca legata all’insegnare a pensare]
Una presenza originale - che sappia adattarsi al contesto (ed anche, per quanto possibile, adattarlo alle proprie esigenze) - si sviluppa in anni, non certo in mesi; è intessuta di esperienze e di metodo; è testimoniata da insegnanti che la perseguono in prima persona.
[della necessità di intendere la nostra professione come ‘professione creativa’ credo non mi stancherò mai di parlare!]
Forse mi sbaglierò, ma mi sembra di osservare un giudizio (ancora…) troppo tecnicistico associato, dall’interno stesso del mondo della scuola, alla competenza orientativa del docente. Vorrei che tutti noi, che abbiamo da lavorare con individui in crescita, ci rappresentassimo di più come ‘orchestra’ e non come ‘buoni musicisti’. Per fare questo, è necessario sviluppare uno sguardo ampio, che travalichi i confini della propria disciplina, e coltivare una indispensabile speranza nei confronti dell’universo nascosto che abita dietro il simulacro che tanti studenti ergono tra noi e loro.
Del resto, un gigante del pensiero contemporaneo - il filosofo Michel Foucault - già nel 1982 affermava, in un’intervista:
“Non mi pare davvero necessario sapere esattamente che cosa sono. La cosa più importante nella vita e nel lavoro è diventare qualcosa di diverso da quello che si era all’inizio”
Sarò un’illusa, ma continuo a credere che la scuola sia il luogo nel quale si prende coscienza del cambiamento. Proprio e della realtà. E si inizia ad accettarli entrambi, si impara a scendere a patti con essi, fino a renderli strumenti della propria crescita e del proprio benessere.
Perché ogni apprendimento è un cambiamento.
E la consapevolezza del cambiamento passa sempre da una narrazione.
Ma perché l’orientamento deve sempre tener presente la dimensione cruciale del cambiamento?
Oggi vorrei portarti degli esempi didattici legati a questa riflessione.
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