“Una civiltà che ha cura di sé, e come tale tiene in massimo conto il valore della libertà, non può non dedicare risorse alla formazione del pensiero”
(L. Mortari, A scuola di libertà, 2008)
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Buongiorno ✤
Nel primo degli appuntamenti dei martedì delle Lettere dedicati alle Parole del pensare, avevo posto come mio traguardo quotidiano quello di sollecitare la passione per il pensiero.
Nell’accezione più inclusiva del termine ‘pensiero’, che potrei definire quale ‘azione’.
Ne ho avuto la riprova questa mattina stessa, correggendo in classe il compito che avevo assegnato e che chiedeva, in sostanza, di dimostrare la seguente affermazione: “i due quinti di un oggetto equivalgono ad un quinto del doppio dell’oggetto stesso”. Ho ricevuto fotografie incollate sul quaderno delle pizze mangiate sabato sera e meticolosamente suddivise in fette come richiesto dalla prof, disegni ma anche ‘semplici’ dimostrazioni che impiegavano l’operazione di moltiplicazione e la proprietà commutativa. Non oserei mai dire che solo le ultime erano ‘pensiero’; al limite potremmo discutere della via verso la conquista della capacità di astrazione.
Quello che ti ho indicato martedì scorso potremmo definirlo un prerequisito della capacità di pensare su larga scala: se non vi è mossa verso la possibilità di conquista del pensare, null’altro accadrà.
Se quindi ‘passione’ può essere considerata la prima e fondante delle parole del pensare, ve n’è una seconda, che conferma quel fascino espresso dalla prima: radicalità. Il pensiero è radicale, nel senso che agisce proprio come la radice di un albero: si insinua in profondità nel terreno, si nasconde alla vista, ma procede e continua imperterrito a svolgere il suo lavoro.
(Un po’ come la radice del fico che questa estate ha creato un’ombra quantomai necessaria sulla porta di ingresso, ma che ieri abbiamo scoperto aver preso la direzione della parete esterna della taverna… e quindi “addio fico!”)
Lo chiediamo anche noi in classe, il pensare radicalmente critico, quando accettiamo soltanto risposte che affondino su evidenze certe (evidenze che sono sempre linguistiche, nota bene!). A diversi livelli, ma funziona così dalla primaria all’esame di maturità. Credo che una delle competenze essenziali del docente debba proprio essere quella di saper associare la categoria del pensiero alle immagini e ai costrutti tipici dell’età con la quale ha a che fare.
Da questo punto di vista, la scuola è eminentemente politica, poiché non consente ad alcuno studente di trasformare una qualsiasi certezza di lunga data in pregiudizio.
Mi verrebbe proprio da dire che la scuola, per principio, non dovrebbe consentire ad alcuna certezza di mettere radici troppo a lungo. Dovremmo costantemente riflettere su come suscitare, periodicamente, una sana ventata che introduca disordine in un impianto scontato. Il celebre tafano di socratica memoria…
Di qui, la terza delle parole che possiamo associare al pensare: la fragilità. Il pensiero non solo è, ma deve essere fragile, poiché solo in tal modo potrà andare incontro - eventualmente disfacendosi, per rifarsi altrove - all’urto dell’esperienza o di costrutti linguistici altri da sé.
Oggi ho creato per te una infografica che potrai utilizzare - qualsiasi sia la disciplina che insegni - allo scopo di rendere consapevoli i tuoi studenti della fragilità buona del (loro e di tutti) pensiero.
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