
Buongiorno ♡
Sono ancora sotto l’effetto dell’onda lunga - di soddisfazione e benessere - generata dall’incontro di martedì 26, che si è svolto ‘a casa’ dell’editore Terre di mezzo; l’argomento era: Orientamento&Narrazioni. Gli iscritti all’evento hanno già ricevuto anche tutti i miei materiali didattici, oltre alla meravigliosa bibliografia pensata da Sabina Eleonori.
(ne approfitto per rivolgere un abbraccio di benvenuto particolarmente sentito alle nuove persone che, dopo martedì, sono approdate qui sulle Lettere e si sono quindi aggregate alla nostra splendida compagnia !)
Su orientamento e identità sono molti anni che amo lavorare (il Manuale dell’Orientamento e la raccolta Verso dove? continuano ad essere due punti-cardine della mia esperienza di autrice, di docente e di formatrice), ma è proprio vero che si scoprono sempre nuove aperture di riflessione.
Oggi ti voglio proporre una prospettiva che ho trovato molto interessante.
Anche durante l’incontro del 26, più volte avevo ribadito (persino attingendo alla neurobiologia!) che il sapersi orientare è una competenza di linguaggio. Certo, il linguaggio può anche manifestarsi come lingua, ma dobbiamo davvero cercare - noi adulti, soprattutto se siamo insegnanti - di estendere l’area della potenza del simbolo a tutte le manifestazioni comunicative proprie dell’essere umano.
Raccontavo martedì di come questo sia il lavoro di tutto il primo quadrimestre che ho pensato per la mia classe terza.
(se insegni Scienze o comunque ti interesserebbe lavorare sui miei materiali, scrivimi pure!)
Ma torniamo al tema dell’identità.
(perché anche la consapevolezza identitaria è una competenza linguistica, del resto…)
I filosofi e gli psicologi da tempo suggeriscono che le domande che ci si pone sull’identità sono sempre inestricabilmente correlate alle riflessioni sul senso della propria vita. In particolare, gli studi tendono a dimostrare che chi siamo dà forma alle nostre azioni poiché il “significato dell’esistenza” deriva dalla possibilità di vivere in accordo con il proprio vero Sé.
In particolare, gli studiosi hanno indagato due metafore, che si sono rivelate particolarmente efficaci nell’individuazione - da parte di ognuno - del vero Sé.
Queste due metafore - sulle quali io stessa mi sono trovata a lavorare nella stesura dei due testi che ti citavo all’inizio - sono:
la scoperta di Sé
la creazione di Sé
Oggi vorrei ragionare insieme a te delle ragioni per le quali la metafora_1 può rafforzare - mentre la metafora_2 può minacciare - la consapevolezza che il cosiddetto “vero Sé” è un dato oggettivo, reale, è qualcosa di ontologicamente vero.
In effetti… che cosa si intende con “vero Sé” e che cosa dice di noi stessi quale delle due metafore preferiamo utilizzare?
(se ti interessa, puoi seguirmi nelle prossime righe…)
Continua a leggere con una prova gratuita di 7 giorni
Iscriviti a Lettere ad un (giovane) docente per continuare a leggere questo post e ottenere 7 giorni di accesso gratuito agli archivi completi dei post.