
Questa è la novantanovesima lettera del Lunedì e ho deciso di celebrare, pur se in anticipo di un’uscita, quello che considero un traguardo molto importante per me, per la mia professione e la mia vita. Scrivere qui - ma soprattutto studiare continuamente e continuamente riflettere per scrivere qui - è stata l’azione che, negli ultimi due anni, in modo più deciso ed efficace ha orientato il mio lavoro di formatrice e autrice.
Celebro perciò con gioia questo quasi-traguardo del centesimo Lunedì, senza considerare oggi la settantina di articoli che costituivano i percorsi mensili di formazione né la sessantina di riflessioni su Identità & Orientamento e nemmeno tutte gli spin-off che, in questi due anni di pubblicazione, man mano hanno visto la luce.
Poiché all’inizio eravamo proprio pochini, mentre adesso ci avviamo - con una lentezza che, invece di frustarmi mi inorgoglisce - al settimo centinaio di ‘compagni di strada’,
HO QUINDI DECISO DI RENDERE DISPONIBILI A TUTTI, - scandendoli al lunedì, appunto - ALCUNI DEI PASSATI PERCORSI MENSILI DI FORMAZIONE.
Se poi tu volessi dimostrare di apprezzare così tanto il mio lavoro di ricerca, tanto da sostenerlo anche economicamente, te ne sarei infinitamente grata. Nei due anni che si compiono tra poco meno di un mese, è diventato per me infatti prioritario impegnare tutto il mio tempo, le mie risorse e le mie capacità alla creazione di un ‘ecosistema professionale’ sostenuto dalla stima di chi mi legge.
Di seguito, trovi il primo appuntamento che creai per il corso LA RESPONSABILITÀ DELL’EDUCARE.
Ti abbraccio e ti auguro una buona settimana ♡
Ho intitolato il percorso n.9 delle Stanze di Valore mensili “La responsabilità dell’educare”; esso nasce da una (impegnativa) lettura: Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica (Einaudi, 2009), del filosofo contemporaneo Hans Jonas.
Perché desidero ragionare di responsabilità? Non è ovvio parlarne, quando ci si riferisce alla scuola (o a qualsiasi altra agenzia educativa)?
È uno dei primi concetti che ho rinvenuto nel volume a fornire una iniziale risposta alla domanda posta sopra, quello di reciprocità asimmetrica quale origine della responsabilità. Ho trovato molto interessante la possibilità di leggere qualsiasi relazione nella quale sia coinvolto l’essere umano come una bilancia che non è mai in equilibrio. La presenza dei due piatti garantisce l’essenza dell’essere-in-relazione, mentre il disequilibrio è dato dal coinvolgimento di due realtà non coincidenti.
(Che poi, se ci penso, mi sembra che si possa definire reciprocità asimmetrica anche la relazione che abbiamo con… noi stessi! Tra il Sé presente e quelli che ci stanno alle spalle o prefigurati davanti; ma anche tra quelli che si alternano, nel presente, secondo dopo secondo)
Una prima considerazione, a monte, vorrei dedicarla al concetto di asimmetria. Che, in qualità di educatori, possiamo tradurre - cioè rendere nel particolare - con frasi del tipo “un docente non deve essere amico dei suoi studenti”, “sei suo padre, non un suo amico” etc. In tale disarmonia ‘buona’ io riesco a vedere l’impronta dell’umiltà, della stima, dell’ammirazione, in sostanza di quell’insieme di sentimenti che ci rendono consapevoli che l’altro sia sempre un valore. E mi sto immaginando una simile percezione di disuguaglianza da entrambe le parti in gioco: che si tratti di uno studente nei confronti del suo docente, di un genitore nei confronti del proprio figlio e delle simmetriche visioni. Del resto, quale ‘buon’ insegnante potrebbe mai affermare di non avere imparato dai propri studenti?
Soltanto l’asimmetria è generativa, pone in essere l’ascolto e il dialogo, rende ragione di un’esistenza che è cambiamento perenne.
Rimanendo nell’ambito educativo e formativo, che cosa può insegnarci questo concetto di reciprocità asimmetrica?
Che cosa ci racconta dell’insegnamento, dell’apprendimento, dell’accompagnare un figlio a vivere?
L’etica della responsabilità è un’etica che ha come cardine il concetto di cura. Una cura che possiamo vedere manifestarsi nei confronti di un altro individuo, del pianeta intero, degli eventi passati e delle generazioni future. ‘Cura’ come termine perciò estendibile sia nello spazio che nel tempo, ma sempre definibile come tratto dell’umanità.
Voglio quindi provare a coniugare questa idea globale di cura all’interno del terreno delle relazioni educative, inevitabilmente asimmetriche.
E inizio con un apparente paradosso: se, da un lato, la responsabilità si appoggia alla cura, a sua volta garantita dalla reciprocità asimmetrica, non si può evitare di pensare che dal concetto di asimmetria derivi - inevitabilmente - anche quello di potere.
E quindi, responsabilità e potere sono entrambi figli delle relazioni umane. Forse non hanno entrambi i genitori in comune, ma potremmo anche pensare al ‘femminile’ della reciprocità asimmetrica che si riproduce per partenogenesi.
Del resto, Jonas lo affermava chiaramente:
“soltanto chi detiene una responsabilità (e un potere, determinato dalla presenza della suddetta asimmetria” può agire in modo responsabile o irresponsabile. A sua scelta”
Se entrambe le parti in gioco riconoscono il valore dell’altro, all’interno della relazione educativa, ecco che rispetto, autorevolezza, apertura reciproca non possono che esserne tracce. Spesso ho definito in termini di testimonianza, l’azione che svolgiamo sul palco, davanti ai nostri studenti…
La scuola è dunque il modo con il quale noi agiamo per/su noi stessi, prima che per i nostri studenti.
La scuola è il luogo d’elezione - dopo la famiglia - nel quale il prendersi cura di un altro individuo è sentito come bisogno primario. Ed è perciò il luogo nel quale possiamo agire responsabilmente, giocando un potere rivolto al bene di entrambe le parti di una relazione comunque asimmetrica.
Le differenze individuali non sono da ascrivere al ruolo di ‘docente’ o a quello di ‘studente’, ma all’esistenza di un rapporto inguaribilmente reciproco.
Ma c’è dell’altro…
Nel suo La dialettica della comunicazione etica ed etico-religiosa (1847), Kierkegaard distingue in modo interessante la “comunicazione di sapere” dalla “comunicazione di potere”.
Scrive appunto Kierkegaard:
“[Ma] la comunicazione nel campo etico si può dare soltanto nella realtà, così che il comunicante, ovvero il maestro, esiste in ciò che insegna e nella situazione della realtà, e anche nella situazione della realtà egli è ciò che insegna”
Secondo Kierkegaard, dunque, quando siamo in classe (o a tavola, sul divano, in famiglia) stiamo attuando una comunicazione diretta (cioè una comunicazione di sapere) solo se stiamo riflettendo, insieme ai nostri studenti (o ai figli, o al partner), su uno specifico oggetto. Un oggetto formativo, lo chiamerò: una proprietà delle potenze, il concetto di atarassia, la tecnica del cubismo analitico…
Questa è la comunicazione diretta.
Se invece stiamo riflettendo sul metodo che attuiamo - cioè stiamo avvitando la riflessione su se stessa - secondo Kierkegaard siamo in una situazione di comunicazione indiretta, cioè di una comunicazione di potere. La portata di quest’ultima è, secondo l’autore, qualitativamente inferiore alla prima (la comunicazione di sapere, diretta); in un certo qual senso, si tratterebbe addirittura di una comunicazione falsa. Non facciamo fatica a crederlo, se pensiamo ai “si deve” calati dall’alto e che non sono minimamente sostenuti da una pratica da parte di chi li proclama.
La testimonianza dell’insegnante, del genitore, dell’educatore è dunque comunicazione diretta. È il prendersi cura, di cui ho scritto prima (e che Jonas affermerà circa un secolo dopo Kierkegaard).
Concluderei, tirando le fila del discorso (fila spero non troppo ingarbugliate, per te che mi hai seguito fin qui), che la reciprocità simmetrica - alias le umane relazioni, perciò educative - è sempre questione di una comunicazione di sapere e non di potere.
[FINE PRIMA PARTE]