Di identità non si finisce mai di parlare
una conversazione che ebbe luogo più di cinquant'anni fa
Buongiorno e buon venerdì!
Lo sai qual è, per me, una delle cose belle dell’invecchiare? Accorgermi che tutto ciò che mi accade, tutto ciò che penso di scoprire di inedito, alla fin fine… ha un senso. Il nuovo, l’anomalo, il disturbante, tutto trova posto. Quando si acquietano un po’ le tempeste e lo scopo non è più quello di tenere stretto il timone fino a far diventare bianche le nocche, ti accorgi che basta sfiorarlo e mantenere il contatto.
Foto di Markus Spiske su Unsplash
Da qualche anno, ormai, so con certezza che il mio girovagare inquieto intorno ai temi dell’identità, che il mio voler agguantare le declinazioni della narratività nell’esistenza di ognuno, tutto ciò non era affatto estraneo alla mia professione di insegnante ma, anzi, la ribadiva nella sua essenza. Quell’essenza che, appunto, sono convinta sia l’orientamento.
Sono fortunata, nel mio lavoro di ricercatrice, perché quando ti imponi di indagare il tema dell’identità non rimarrai mai a corto di idee e di suggestioni teoriche da volgere in sperimentazione! Ed è per questo motivo che vorrei fosse coniata una nuova classe di concorso, la OR19 (19 è il mio giorno di nascita e quindi numero fortunato!): Narrazione identitaria nelle discipline filosofiche. Ormai lo sai - credo - che intendo per ‘filosofia’ quell’andar per problemi che si fa metodo, qualsiasi sia l’età dello studente e in qualsiasi area disciplinare.
Per l’appuntamento di oggi, ho scovato uno stralcio di una conversazione datata agosto 1970 (addirittura, sì!), che venne poi trascritta e divenne un libro. Uno dei protagonisti del dialogo era James Baldwin (l’altra era Margaret Mead), poeta statunitense all’epoca quarantaseienne. Durante la conversazione - che durò ben sette ore e mezza e venne spartita su due giornate - Baldwin e Mead si confrontarono sulle numerose accezioni del termine ‘identità’, non tralasciando evidentemente il tarlo dato dal misconoscimento razziale, agli esordi degli anni Settanta possiamo immaginare ancor più dirompente di quanto non sia adesso, per la cultura statunitense.
una fotografia di James Baldwin (Allan Warren, 1969)
Delle parole che vennero lanciate dall’uno all’altra degli interlocutori, in quelle due sere, e che si fermarono su carta, oggi trattengo per noi quelle che penso si prestino meglio ad andare a costituire un altro dei nostri testi orientativi. Uno dei testi da inserire nella sezione IDENTITÀ delle nostre antologie.
Lascio parlare loro… (le traduzioni sono sempre mie, ma qui puoi trovare la versione in italiano del libro)
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