Buon weekend ✰
Pensi che le Lettere ad un (giovane) docente possano interessare o essere utili ad un qualche tuo collega?
Ti sarei davvero grata se mi aiutassi ad estendere la nostra piccola grande comunità di insegnanti che credono nella possibilità di una rivoluzione gentile della scuola. Ti basta utilizzare il bottone che trovi qui sotto (e potresti ricavarne molti vantaggi anche tu…!)
Ricordi la risorsa web della quale ti ho parlato venerdì scorso (Untools)?
I suoi sviluppatori, nella Guida relativa, ne hanno posto come area prevalente di utilizzo la risoluzione di un problema.
Sempre la scorsa settimana, commentavo che
“crescere, vivere significa sempre, in ultima analisi, [1] trovarsi di fronte ad un problema oppure [2] dover prendere una decisione o ancora [3] essere in grado di analizzare un sistema”
Oggi mi accorgo (ispirata, come spesso accade, da un signore che di lavoro non fa l’educatore ma che di educazione se ne intende eccome… e cioè Seth Godin!) che scrivere quello che ho scritto, non basta. E non basta, a maggior ragione, a chi volge la propria professionalità in un accompagnamento a crescere.
Infatti, che cosa significa - in ultima analisi - lavorare con i problemi?
La prima osservazione che farei è la seguente: ciò che abbiamo tra le mani (ciò che mettiamo tra le mani dei nostri studenti) è un problema oppure è una situazione?
Perché, se ci pensi, i problemi - per definizione - possiedono una soluzione. La soluzione può essere estremamente dispendiosa in termini energetici (di studio, impegno) o economici, e questo può non rendere adeguato a noi il percorso risolutivo; ma ciò non toglie che essa esista e sia potenzialmente raggiungibile.
Le situazioni, invece, non implicano soluzioni.
La situazione È. Punto.
Il problema volge al futuro; la situazione è nel presente.
Osservo quindi che potrebbe essere un’attività di didattica orientativa potentissima insegnare ai nostri studenti a distinguere tra problema e situazione.
Perché se noi dimostriamo che ciò che lo studente pensa essere un problema è, in realtà, una situazione, allora egli capirà che non deve trattarlo come un problema: non perderà tempo e energie per tentare di trovare una soluzione, che non esiste.
Ti faccio un banalissimo esempio.
Qualche giorno fa, sempre durante una delle lezioni di quel meraviglioso laboratorio di geometria che sta rallegrando le mie ore di lezione, B. commenta: “Però, prof, io non sono d’accordo con le misure approssimate! Secondo me, si può ottenere il valore esatto dell’area della figura X. Io non ce l’ho fatta perché non sono molto brava, ma qualcun altro può riuscirci”.
[leggi: “io non penso proprio, prof, che tutte le misure non siano esatte! Secondo me, se ci mettiamo d’impegno ad essere precisi nel disegno, se usiamo un computer per fare i calcoli, se ingrandiamo la figura o usiamo una unità di misura più piccola… arriveremo alla misura esatta!”]
La mia risposta è stata: “cara B., è come se tu mi dicessi che non sei d’accordo con le piante! Le piante esistono, ci sono. Puoi pensare che è meglio essere eterotrofi che non autotrofi, che preferisci avere la tua capacità di deambulazione e non essere ancorata ad un terreno, ma non si tratta di essere d’accordo o meno… Di più, la conseguenza che leggo nel tuo non essere d’accordo è che, se ti fossi impegnata di più/se fossi stata più precisa, avresti raggiunto la misura esatta. E invece no. È qui il punto della questione: la misura esatta non avrebbe mai potuto essere raggiunta. Nemmeno dal computer più potente. La sola cosa che è ragionevole fare, e che il computer avrebbe fatto, e anche meglio di te, è di effettuare dei passaggi (intelligenti) di approssimazione”
Per B., trovare la misura dell’area della figura X era un problema. E lo è anche, in linea teorica. Quello che B. non conosceva ancora è la differenza tra un problema che dà una soluzione esatta e uno che ne dà una approssimata. Nell’esperienza comune di una dodicenne, il problema del secondo tipo è molto più simile ad una situazione (= le piante) che non ad uno dei problemi ‘a soluzione esatta’ ai quali la matematica dei suoi primi sette anni di scolarizzazione l’ha abituata.
Penso, infatti, al momento orientativo illuminante che è, nella matematica dell’inizio di prima media, la scoperta della distinzione tra impossibile e difficile.
Sempre dal punto di vista della didattica orientativa - nel mio caso, l’insieme delle proposte didattiche che possano aiutare i miei studenti a cogliere, nella matematica e nelle scienze, delle esperienze di corrispondenza con il proprio Sé - trovo ad esempio che sia molto interessante far sì che uno studente delle medie inizi ad intuire il confine estremamente labile che esiste tra problema difficile e situazione (v. l’esempio di B., poco sopra).
Oggi ti presento un esempio di attività, legata al problema, che potresti utilizzare per la tua didattica orientativa (anche se non insegni matematica!)
{Se ne avessi la possibilità, sarei orgogliosa se volessi considerare la possibilità di investire nella mia attività di ricerca e formazione. Oppure per te non è il momento, ma nel caso trovassi utile o interessante ciò su cui lavoro, ti sarei davvero grata se tu volessi condividere la newsletter con qualche amico o collega. Anche con questo piccolo gesto puoi sostenere la mia ricerca e la mia professione. Grazie}
Continua a leggere con una prova gratuita di 7 giorni
Iscriviti a Lettere ad un (giovane) docente per continuare a leggere questo post e ottenere 7 giorni di accesso gratuito agli archivi completi dei post.