È davvero la comprensione ciò che ci sta a cuore?
Perché, a mio avviso, non ci si dovrebbe stupire dei risultati OCSE

Questa Lettera del Lunedì arriva solo oggi nella tua casella e-mail. Stavo per programmare la pubblicazione, due giorni fa, quando ho dovuto rispondere ad una di quelle telefonate che mai vorresti ricevere. Non ne parlerò qui, perché desidero che questo sia uno spazio di riflessione e discussione molto personale ma anche privato (e non vedo perché dovrei ‘importelo’). Se anche tu hai o hai mai avuto un “figlio d’anima e di pelo”, credo conoscerai bene lo strazio e la sofferenza che accompagnano la sua perdita.
Non ho perciò modificato in alcun aspetto ciò che scrivevo lunedì, quando ancora ero convinta che sarebbe andato tutto bene…
Buon inizio di settimana ♡
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Veniamo a noi, adesso.
Ha destato molto scalpore, tante polemiche e qualche “io l’avevo detto!” la pubblicazione dei risultati delle indagini compiute dall’OCSE, relativamente all’anno 2022. Il confronto è apparso impietoso, per i nostri studenti, rispetto agli esiti ottenuti soprattutto dalle regioni asiatiche, ma anche rispetto a molte nazioni europee. Per quanto in tutto l’intero vecchio continente le prove degli studenti siano apparse significativamente peggiorate rispetto alla precedente indagine OCSE.
Mentre osservavo i grafici e le infografiche di cui si sono ornati tutti i quotidiani, in quei giorni, stavo portando avanti lo studio - e soprattutto la ricerca, applicata in classe - di come la prospettiva generalmente detta “linguistica” renda indubbiamente più efficace gli apprendimenti in qualsiasi disciplina.
[a questo proposito, sta bollendo in pentola un appuntamento bello bellissimo, del quale sono enormemente fiera, e di cui ti parlerò a inizio 2025!]
Quali sono gli elementi cardine di uno sguardo - vogliamo osare chiamarlo metodo…? - che intenda presentare ogni disciplina secondo quella che ho definito una prospettiva linguistica?
E quali sfide ci pone, pone al mondo della didattica, quel grassetto che non mi stancherò di utilizzare (ogni disciplina)?
Siamo disposti a non giocare più a rimpiattino (troppo ‘boomer’ usare un esempio simile? 😁), tra docenti dell’ambito umanistico e dell’ambito matematico-scientifico?
Quali (e quanti!) inevitabili cambiamenti impone l’adesione ad un criterio simile?
Perché IO CI CREDO?
Tante volte ho qui raccontato di episodi sperimentali svolti nelle classi, molte altre ho tentato di argomentare da plurimi punti di vista il vantaggio - in termini di comprensione - che ho immancabilmente visto realizzarsi quando la didattica si declina secondo una prospettiva narrativa. Sono particolarmente felice di averlo visto accadere nelle discipline che insegno, in quella Matematica e in quel ventaglio di scienze che nella scuola media molto spesso cessano di essere scoperta e meraviglia, per tramutarsi in formalizzazione.
Eppure, attiguo al terreno della ‘scoperta’ e necessariamente precedente quello della ‘formalizzazione’ (guarda caso, i due estremi tradizionalmente associati alla scuola primaria e alla scuola superiore), vi è la declinazione secondo ‘problemi’.
Forse sto solo cercando di tirare acqua al mio mulino, ma ho la forte sensazione (più che sensazione, la chiamerei verifica basata sui fatti) che uno studente non sa fare quando - banalmente - non capisce.
Ovvio? No.
Perché se lo scopo fosse la comprensione, allora si dovrebbe perseguire - in ogni occasione e in ogni disciplina - l’utilizzo di quell’oggetto che ne è modello e rappresentazione.
Indovini che cosa possa essere?
Una storia.
Una storia va compresa. Ogni storia è un problema risolto. Le storie sono inclusive ed originali. Ogni storia ha regole narrative ma anche regole sintattiche.
[durante il webinar Orientarsi con le storie, insieme alla redazione di Terre di mezzo, avevo citato le decine (forse centinaia) di “storie” che sono le numerose e differenti dimostrazioni del teorema di Pitagora, che i matematici di ogni epoca si sono divertiti a scrivere!]
Può bastare per convincerti?
Parliamone!
Un abbraccio e buona settimana a te ♡