Buongiorno ✩
{Ciao! Questo che stai per leggere è il primo appuntamento di un nuovo percorso di formazione sostenibile, che ho voluto intitolare Rischiarare l’Umano. Ti aiuterò, per quattro settimane, a rimettere a fuoco il valore fondante di ciò che è l’educazione.
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Qualche settimana fa, scrivendo l’Appello del numero di settembre della newsletter Gessetti, avevo già utilizzato una locuzione simile al titolo di questa mia Stanza di Valore ‘formato mignon’. Avevo scritto che la scuola sta ormai agendo (o si sta accorgendo di dover agire) nella direzione di rimettere l’umano al centro.
Da molti anni vado a scovare - nelle pubblicazioni scientifiche legate al mondo dell’istruzione e della scuola, nonché nelle politiche scolastiche - gli indizi di quella tensione che, a ragione, è stata definita un nuovo umanesimo, per la scuola e non solo. Interessantissimo è stato prendere atto delle significative correlazioni tra le scelte economiche e quelle scolastiche, a partire dal secondo dopoguerra; ancor più interessante, però, è stato per me raccogliere i dati di una recessione globale da quei criteri che avevano imperato per all’incirca cinquant’anni.
[qualche mese fa, durante una Masterclass dedicata alla valutazione, avevamo proprio parlato di tutte queste dinamiche]
Ieri, su Instagram, ho proprio voluto chiedermi che cosa possiamo prevedere nel futuro della scuola. Mi sono concentrata sulla nostra ormai assodata relazione con il digitale e le considerazioni che ne ho tratto mi portano, appunto, qui, oggi.
Se deciderai di seguirmi in questo breve percorso che inizia con questo numero delle Lettere, spero di poterti convincere - con esempi ed esperienze già in atto - di come
- rischiarare l’umano continui ad essere la prerogativa della scuola
- questo orizzonte non coincida assolutamente con l’accettare con rassegnazione le resistenze, da parte degli studenti, all’apprendimento
Penso che l’intelligenza di un sistema educativo (in un periodo di estrema emergenza come il nostro) si misuri in base a quanto esso riesce ad evolversi per non estinguersi, salvaguardando ciò che lo rende peculiare. Che non è informare, né accompagnare amorevolmente, né giocare, né misurare e nemmeno valutare. La scuola non è in nuce nessuna di quelle azioni, sebbene esse siano tutte compresenti rispetto ad una ancor più radicale: educare.
Mi sento di affermare che, se è vero che esistono strumenti più adeguati di altri per informare, per giocare o per misurare, educare non è verbo che si lasci costringere da nessuno di essi. Perché educare investe l’essere umano non per ciò che fa ma per ciò che è. E allora potremmo anche arrivare a preferire, in un futuro, Chat GPT o i suoi eredi per comporre una dissertazione, ma credo proprio che non riusciremo mai ad essere educati da qualcosa che sia meno che umano.
Devo confessarti che, in questo inizio di nuovo anno scolastico, dopo un’estate colpita a morte da notizie a seguito della cui lettura verrebbe da chiedersi “ma sono esseri umani, questi?”, sento molto forte l’esigenza di agire, in qualche modo. A scuola, nelle mie ‘povere’ poche ore di lezione.
Oggi vorrei proprio raccontarti che cosa ho pensato di proporre come attività di apertura di anno scolastico.
Si tratta di un’attività che sta ‘dentro’ le mie discipline (perché sono insegnante e non altro!) e che ha a che fare con gli argomenti della programmazione; che non ha lo scopo di venire categorizzata nella forma di ‘progetto X o Y’, ma che risponde all’imperativo categorico di una scuola che educa.
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