Buon lunedì a te ♡
Sabato mi è accaduto qualcosa di straordinario.
Non so nemmeno se ‘straordinario’ sia l’aggettivo adeguato; ‘commovente’ lo è di sicuro. Devo confessare che il ricordo mi accompagna tuttora.
Ho rivisto, in occasione della giornata open della mia scuola, un ex-studente, che terminò le medie nel 2010. Non avevo mai più avuto occasione di incontrarlo; serbavo semplicemente una sbiadita immagine di lui seduto in prima fila, occhi grandi spalancati a farsi interrogare da ciò che le discipline della scuola secondaria possono offrire a un tredicenne.
C. era stato invitato a raccontare - alle famiglie dei potenziali nuovi iscritti - quale traccia avesse lasciato in lui l’esperienza vissuta nella nostra scuola secondaria
Non ero nemmeno presente, in auditorium, ad ascoltare le sue parole (mi trovavo in classe a far scoprire i numeri triangolari!). Dopo un paio d’ore, tutti i colleghi che mi incontravano mi dicevano: “Devi farti raccontare da C. che cosa ha detto!! È stato incredibile”. Ai genitori ‘nuovi’ venivo presentata con “è lei, la prof. Butò di cui avete sentito parlare!”.
Nel bailamme dei corridoi, io e il vecchio studente ci siamo presto intercettati e - confessandomi che si sarebbe sentito molto in imbarazzo ad esprimere tutto ciò che aveva detto se io fossi stata presente tra il pubblico - C. mi ha svelato il tenore del suo breve intervento.
E dunque…
… quell’adulto fatto e finito, appena sposato, che ha gli stessi identici occhi spalancati sulla realtà (e non mi stupisce affatto che sia diventato insegnante!), con un imbarazzo che celava dietro la barba, mi riferiva di avere semplicemente ricordato la lettera che avevo consegnato a lui e ai suoi compagni nel corso della nostra ultima ora di lezione.
Mentre me ne citava a memoria qualche frase, essa mi tornava perfettamente alla memoria. Una volta tornata a casa, non ho potuto evitare di andare immediatamente a cercarla nell’archivio del mio vecchio pc.
Voglio condividerla con te, oggi.
Ad una classe terza…
-“Ah... sono davvero una stupida. Qualche volta dimentico che noi altri sappiamo. E allora mi diverto come se fossi ragazza. Come se tutte queste cose avvenissero ai grandi, agli Olimpici, e avvenissero così, inesorabili ma fatte di assurdo, d’improvviso.
Quello che mai prevedo è appunto di aver preveduto, di sapere ogni volta quel che farò e quel che dirò - e quello che faccio e che dico diventa così sempre nuovo, sorprendente, come un gioco, come quel gioco degli scacchi che Odisseo m’insegnò, tutto regole e norme ma così bello e imprevisto, coi suoi pezzi d’avorio. Lui mi diceva sempre che quel gioco è la vita. Mi diceva che è un modo di vincere il tempo.
-“Troppe cose ricordi di lui. Non l’hai fatto né maiale né lupo, e l’hai fatto ricordo.”
-“L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia. Nomi e parole sono questo. Davanti al ricordo sorridono anche loro, rassegnàti.
-“Circe, anche tu dici parole.”
-“So il mio destino, Leucò. Non temere.”
(C. Pavese, Dialoghi con Leucò)
Esiste un luogo dove il finito che siamo incontra l’infinito desiderio che abbiamo.
Si tratta di un luogo che è popolato di nomi e parole, i cui confini estendiamo nel corso della nostra esistenza, spingendoli sempre un poco più in là. E così esercitiamo quel briciolo d’immortalità che, per grazia, portiamo con noi, mentre diventiamo creatori di ricordo e sorgenti di memoria.
Una memoria che si farà nostalgia e desiderio di tornare.
Con tutto l’affetto di chi ha provato con voi a dare un nome alle cose, assaporandone la meraviglia,
la vostra prof
C. ha detto innanzitutto che è stata quella ricerca della meraviglia, della quale aveva iniziato a fare esperienza durante le mie lezioni, ad averlo poi sostenuto e orientato nel corso di quelli che sono stati tutti i suoi studi dopo la scuola media.
Ma non ha ricordato solo questo.
Ha estratto dal suo cilindro dei ricordi anche un tema che avevamo quell’anno affrontato nelle ore di Scienze: la branca Evo-Devo, evolution-development biology. E, mentre ne citava - alle (immagino attonite!) famiglie riunite in auditorium - persino la lontana origine storica (la frase dell’embriologo ottocentesco E. Haeckel “l’ontogenesi ricapitola la filogenesi") affermava che fu nell’anno della terza media che egli, giovane studente ancora sulla soglia del mondo adulto, iniziò a comprendere che la sua storia individuale poteva davvero rispecchiarsi nella grande Storia, quella della letteratura e del pensiero umano che si fa poesia, scienza o arte.
Per tutto ciò, ringraziava la nostra scuola. E ringraziava me.
Quando ci siamo salutati, l’ho abbracciato senza parole, commossa e immensamente grata.
Non ho mai saputo pensare - nei miei ventisette anni di scuola - a nessun’altra ragione di quella che ha restituito l’adulto C. per definire a me stessa la scelta di insegnare.
Un abbraccio e buona settimana ♡
Sono queste le vere soddisfazioni! Il lavoro, svolto con cuore e passione, porta a questi risultati. Ma si può sapere qualche dettaglio in più sul percorso di studi e professionale di C.?