“Inutile fingere che educare e educarsi sia una festosa passeggiata per tutti. Occorre prenderne coscienza, armandosi di coraggio”
(D. Demetrio, L’educazione non è finita, 2009)
Buongiorno e buon lunedì.
La newsletter di lunedì scorso di Simona Sessini mi ha lasciato di che riflettere, poi, per l’intera settimana. Simona - che su Instagram è @2kgdiscuola - scriveva delle classi difficili (“tutte le classi facili sono uguali, ogni classe difficile è difficile a modo suo” avrebbe scritto il pedagogista Tolstoj!) e mi sono perfettamente ritrovata nelle sue parole. È una newsletter da leggere tutta, ma voglio incorniciare le seguenti parole:
“Gli ‘io’ sono attratti, come vampiri dal sangue, dai ‘tu’ che li cercano, nonostante tutte le barriere che si mettono davanti. [...] Per poter essere ‘tu’ per qualcuno, devi essere ‘io’ per te stesso”
Ma chi può dire di essere ‘io’ per se stesso?
E come si può fare in modo che la relazione docente-studente non conduca (solo) ad esaurimento delle risorse mentali di entrambe le figure coinvolte?
Esiste un sistema di strategie che possa limitare il castello di alibi e giustificazioni eretto da studenti (e spesso famiglie) nonché il ghigno superiore e snob di molti docenti?
Come salvarci - tutti, chi sta ‘di qua’ e chi sta ‘di là’ - dal chiederci disillusi per quale scopo (oltre l’obbligo o la scelta professionale) stiamo dentro a quella relazione?
Da genitore e insegnante, mi sono appuntata alcuni possibili strumenti. Te li vado ad elencare:
Accogliere il cambiamento. Che è più che accettarlo ed è più che assistere sconsolati ad una cultura e ad un’epoca che non capiremo mai fino in fondo. Se “imparare è cambiare”, allora dovremmo considerare tutti una benedizione sentirci sul ponte di una piccola imbarcazione nel mezzo della tempesta.
Cavalcare l’imprevedibilità. A maggior ragione in un’epoca storica nella quale l’istruzione non ha più connotati coercitivi e standardizzati, non possiamo pensare che anche la relazione educativa tragga senso da modelli preconfezionati (siano essi le IINN così come il concetto di individuo o di famiglia).
Domare l’apprensione. (e mentre scrivo questo, tremo, perché essere apprensiva è sempre stato il mio enorme limite, in qualsiasi tipo di relazione) Tuttavia è velenoso lasciare a briglia sciolta i pensieri che nascono in noi da una rete di esperienze, credenze e pregiudizi che non può essere pienamente condivisa da tutti gli attori in gioco. Spesso la prefigurazione delle possibili conseguenze di una determinata azione o di un determinato evento, semplicemente, non ha ragion d’essere. Perché non posso applicare ad un evento o ad un’azione compiuta da altri i criteri in base ai quali gestisco le mie azioni.
Accettare il rischio. Banalmente, quello di esporsi. Anche alzando la mano durante una votazione in consiglio di classe, certo, ma penso soprattutto all’esposizione continua di quell’io del quale scriveva Simona. In una sorta di atteggiamento disincantato, proprio di chi (adulto e autorevole) sa benissimo che (v. punto 2) la strategia vincente è sempre quella di giocare con le regole che il gioco stesso, istante per istante, impone.
In definitiva, possiamo anche borbottare, ma facciamolo sempre con il sorriso sulle labbra!
Rispondimi, adesso… Quale dei quattro punti che ti ho proposto ti riesce più arduo sostenere?
Buona settimana,
In chiusura, sono molto orgogliosa di segnalarti l’intervista che Stefania Pecere mi ha fatto per la sua newsletter Controra. La seguivo da un po’, ammirandone l’arguzia e riscontrando una certa risonanza di toni e stili. Così, prima dell’estate, Stefania mi ha chiesto di raccontare per i suoi lettori la mia storia di cambiamento. È stato non soltanto un piacere, ma molto commovente raccontarmi a lei.