Lo fai per responsabilità?
Che cosa c'entra il lessico della giurisprudenza con il criterio in base al quale stiamo davanti ad un giovane
Buon venerdì ♡
In settimana mi è accaduto di ascoltare, durante un convegno, una breve analisi sulla figura dell’insegnante, condotta da un dirigente scolastico. Stavo per scrivere “sulla professione docente” ma in realtà la riflessione alla quale mi riferisco e che sto per riproporti mi è parso coinvolgesse soprattutto la sfera personale (poi ti spiego bene perché tengo a fare questa sottolineatura) del professionista, e non tanto quella pubblica.
Ti voglio sottoporre la questione oggi, durante uno degli appuntamenti ormai rituali del venerdì, dedicati alle possibilità che abbiamo - in quanto educatori - di accompagnare gli studenti a sentirsi a posto nel mondo. Molte volte, infatti, ho proposto una visione dell’orientamento, i cui percorsi progettiamo per i nostri studenti, che trascende e travalica l’osservazione dello ‘stato dell’arte’ per quanto riguarda le loro competenze e abilità ma anche l’eccessivo rimandare ai talenti personali.
(lo raccontavo anche la scorsa settimana, ricordi?)
Dove poggia il nostro senso di responsabilità?
Nel corso del convegno al quale ho assistito, ad un certo punto si è parlato del tema della responsabilità. La lettura che è stata proposta (dal dirigente in questione) di quella che considero una tensione morale dell’individuo - ecco perché l’analisi del funzionario mi è parso andasse a coinvolgere la sfera individuale e non quella professionale - è stata la seguente:
il docente risponde alle famiglie, al dirigente e allo Stato (nel caso lavori in una scuola statale) oppure al consiglio di amministrazione (nel caso sia impiegato in una scuola paritaria)
Ebbene, io NON credo proprio sia questo genere di responsabilità quello che regge la dimensione etica dell’insegnamento.
[PS Quando devo presentare ad altri questo progetto, al quale stai partecipando anche tu - delle Lettere ad un (giovane) docente - un po’ pomposamente lo descrivo infatti come una serie di mie, personalissime, riflessioni intorno all’etica dell’insegnamento. Mi piace pensare che ‘essere/diventare un buon docente’ attenga più alla volontà di confrontarsi con il significato ultimo (anche personale, privato o comunitario) della docenza che non con le competenze strategiche assimilabili nel corso degli anni]
Nella scuola - ed anche nella didattica - è cruciale chiedersi a chi si sta rispondendo poiché l’educazione è un processo incentrato sulla relazione tra persone e tra generazioni, durante il quale qualcuno si fa carico di qualcun altro. Se la pedagogia possiede la natura di un sapere della trasformazione, nella riflessione sulle colonne portanti della responsabilità pedagogica dobbiamo necessariamente coinvolgere i valori e i fini di un qualsiasi processo educativo.
Mi chiedo allora:
dirigente, famiglie, Stato e consigli d’amministrazione è giusto che siano valore e fine pedagogico per un docente?
Posso esprimere il timore che, se li intendiamo tali, allora è l’immagine della scuola-azienda o della scuola-centro ricreativo, quella che stiamo avvallando?
Che cosa ne pensi?
Teorici della pedagogia del calibro di Bertin, Contini e Baldacci ci possono aiutare a fare un po’ di chiarezza sulla luce (sembra un paradosso!) che siamo in grado di gettare sulla nostra disciplina. A costoro dobbiamo, in definitiva, l’idea che l’educazione provveda a fornire una guida per il giovane, nella forma di una “ragione aperta e critica, impegnata sia a smascherare pregiudizi sia, sul piano etico-politico, a combattere emarginazioni e ingiustizie”.
Una pedagogia siffatta è il cardine intorno al quale va poi ad organizzarsi una didattica volta a spostare la propria meta sempre oltre.
Voglio appunto trattenere, come primo punto, questa idea di educazione.
Aggiungo un pensiero derivabile da Husserl, secondo il quale la conoscenza parte sempre come atto originario di una coscienza, ed è quindi intenzionale. Al maestro ciò che viene richiesto è di
essere pienamente soggetto e di sostenere/accompagnare lo studente a diventare egli stesso pienamente soggetto, attraverso la presa di coscienza di sé e del mondo.
Secondo Husserl si è pienamente soggetti quando ci si assume la responsabilità di conoscere sé e il mondo, sostenendo autonomamente il desiderio di conoscere ulteriormente.
Questa è la responsabilità alla quale, come insegnanti, credo dobbiamo ambire.
Assumendo questo come punto di vista, un docente deve rispondere a due enti fondamentali: gli studenti e la sua disciplina.
Gli studenti, perché sono coloro i quali egli deve accompagnare a diventare soggetti, individuali e sociali.
La sua disciplina, perché è lo strumento che gli permette di svolgere la precedente azione.
Perché non citare anche Riccardo Massa, per il quale “la responsabilità è la capacità dell’educatore e del formatore di costruire dispositivi adeguati affinché qualcosa di esperienzialmente significativo possa accadere?”
Nella prossima parte, voglio immergermi più in profondità insieme a te, tra le pieghe della risposta e della responsabilità di un insegnante…
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