Buongiorno ♡
“Fail fast, fail often” dicono gli anglosassoni.
Hai mai pensato che il fallimento non è una strada senza uscita ma piuttosto una tangenziale?
Ho letto questa analogia da qualche parte, in settimana, e mi sono venuti subito in mente i miei studenti di seconda. Ormai siamo entrati nella fase cruciale del percorso dell’orientamento: sul finire dello scorso anno li avevo fatti riflettere sul concetto di obiettivo, di scelta, tanto che il compito per le vacanze estive ruotava intorno a quella differenza; quest’anno li ho portati a riflettere su che cosa si intenda con esattezza di una scelta, con precisione nel procedere (grazie alla mia amica matematica Giorgia!). Li ho ‘obbligati’ ad argomentare i loro dubbi. Una delle osservazioni che è emersa più spesso, nel corso delle discussioni in classe, è stata la richiesta su come prevenire il fallimento, la scelta sbagliata.
Prevenire, esatto.
Lo sappiamo bene, del resto; è il masso che gli studenti hanno davanti agli occhi. Fallire non è previsto. Su scala minore, ma sempre nell’ambito della scuola, si nasconde allora immediatamente la verifica insufficiente, in modo che nessuno dei compagni la veda; alla domanda “come va?”, dopo che sei stato assente un mese, si risponde “bene!”, ingoiando tutta la disperazione che ti ha tenuto quel tempo lontano dalla scuola.
Sbagliare non sta bene…
A. Edmonson distingue tre tipi di fallimento:
Elementare
Complesso
Intelligente
E accade questo:
È più facile prevenire un fallimento intelligente (che, per definizione, non è nemmeno fallimento!) ma esso ci regalerà un tasso di incertezza enorme. E viceversa per l’errore elementare.
Come è meglio, allora, fallire/sbagliare?
Penso proprio che mi inventerò un’attività che aiuti gli studenti a mettere in luce queste due scale antiparallele, magari partendo dagli errori che costellano le loro verifiche.
(se dovessi crearla prima di me, me la racconteresti?)
“Devi desiderare di fallire. Se hai paura di farlo, non andrai molto lontano” disse Steve Jobs.
A livello educativo, mi sembra sia interessante lavorare con gli studenti su tre parole, tre aree di significato, tre immagini…
Successo
Perfezionismo
Maestria
La (3) richiede costanza e impegno; essa, contrariamente al (2), non risente minimamente del timore del giudizio altrui e contrariamente all’ (1) non è determinata da un evento puntuale, un picco di energia.
La maestria è un processo, non un prodotto; è una ricerca costante e indefinita nel tempo.
Perché, infatti, chiamiamo ‘maestro’ Riccardo Muti o Caravaggio?
Sarebbe bello lavorare, insieme ai ragazzi e alle ragazze, su queste che probabilmente per loro sono sottigliezze (leggi: cose inutili) e che derivano da un’ampiezza lessicale che pochissimi hanno. Però sono convinta che è appunto quando sono ancora malleabili che convenga prospettare loro una possibilità diversa di raccontarsi.
Oltre quelle tre aree semantiche, attigue ma non sovrapponibili, ti propongo di lavorare - sempre relativamente al concetto di fallimento - sull’incompletezza.
Scrisse Marie Curie a suo fratello, una volta: “Uno non si rende mai conto di quello che è stato fatto; vede sempre ciò che resta da fare”.
E proprio riguardo all’incompletezza, nella prossima parte vedremo come essa si ricolleghi alla maestria di cui sopra.
Ti indicherò un libro incredibile dal quale, a mio avviso, potremmo trarre molti spunti per attività didattiche relative all’orientamento.
(PS Il libro l’ho acquistato con i miei soldi e io non sono nel programma di affiliazione Amazon! 😁)
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