Buongiorno ♡
Uno degli aspetti che più mi interroga della mia professione - ma, ascoltando le famiglie, in questa settimana di restituzione delle schede del 1° quadrimestre, mi rendo conto che sia anche la maggiore causa di ansia negli adulti - è il percorso che procede dalla curiosità all’impegno. Dove curiosità e impegno sono soltanto i due estremi del versante - comunque positivo, perché vi è anche quello oscuro dell’apatia e del disinteresse, vero o apparente - che racconta la posizione dello studente davanti alle discipline. Inserisco, in posizioni variabili e nemmeno ben definite di quel percorso, stati cognitivo-emozionali quali l’interesse, la motivazione, la (sconfitta della) procrastinazione etc.
Se mi leggi da qualche tempo, saprai che non mi corrisponde proprio (ma soprattutto non ne verifico la benché minima utilità) la figura del docente che chiami alla responsabilità-in-quanto-tale. Già in passato ho affermato che “studiare non è un dovere, è un diritto” e sta a noi adulti dimostrare e creare il contesto adeguato affinché persino un tredicenne si accorga del privilegio che lo studio rappresenta.
Una scuola fatta bene risponde perfettamente allo scopo.
E, in questo spazio delle Lettere ad un (giovane) docente stiamo, piano piano, (ri)definendo gli estremi di tale sistema scolastico.
Il concetto dello studio come dovere, spesso e soprattutto con studenti del ciclo primario, sfocia nel “tu fallo, perché poi ti servirà”, richiesta che trovo francamente debole (se non assurda) già nella secondaria di primo grado.
Delle radici della motivazione mi sono occupata (anche attraverso qualche webinar e masterclass) un paio di anni fa; se ti interessasse approfondire la questione, scrivimi pure e troverò qualche appunto da inviarti
Oggi mi voglio occupare di qualcosa che è contiguo alla motivazione ma non si esaurisce in essa: il suo rapporto con l’impegno.
Prima di addentrarmi nella questione, vorrei farti osservare una cosa. Riesci a cogliere, nella tua disciplina e per i tuoi studenti, il momento in cui il gioco (leggi, ‘divertimento’) perde il suo fascino e subentra la fatica? E già mi sto muovendo nella condizione ideale per la quale ciò che proponiamo sia, seppur per un breve momento, divertimento. Potrebbe essere la lezione in cui narriamo (con documentari e albi illustrati… cosa che sto facendo proprio in questi giorni!) il viaggio di Darwin sul Beagle oppure l’ora nella quale dimostriamo l’utilità delle proprietà delle potenze!
(perdona gli esempi tratti solo dalle mie discipline!)
Tutti interessati, occhi svegli e attenti, domande pertinenti e acute.
E il momento in cui molto di questo fascino svanisce, lo abbiamo bene in mente? Perché esiste sempre, è inevitabile.
La mezz’ora che dovrebbero dedicare a casa, da soli, a riprendere i concetti; la ‘noia’ di doverli ripetere; la risposta che si esaurisce in una riga scarsa; la delusione di un’espressione che non viene…
Di quanti studenti e studentesse ci esprimiamo in termini di “in classe fa la lezione, poi a casa non si impegna assolutamente”?
Non mi interessano oggi le considerazioni sociologiche, lo status della famiglia lavoratrice, la distrazione data dall’offerta digitale.
Mi interessa capire se ci sia la possibilità - per noi che siamo gli adulti - di intervenire in qualche modo sulle dinamiche che sono in atto lungo il percorso che porta all’impegno.
Mi sembra allora che dovremmo concentrarci su tre aree: 1) tempo; 2) cura; 3) azione.
Nella mia idea, che oggi voglio illustrarti, non si tratta di tre zone ordinate in modo sequenziale né da rapporti di causa-effetto. Intendo che non è ‘aggiustando’ la concezione del tempo che si impara a prendersi cura di qualcosa e quindi si agisce in un determinato modo. Sono tre sguardi distinti ma sovrapposti, che vanno sanati contemporaneamente.
L’area che ho denominato ‘del tempo’ può essere facilmente evocata se pensiamo a che cosa significhi, per noi adulti, la procrastinazione. Ci affanniamo a rimanere a galla nel mare degli impegni, spostandoli sempre più in là perché ci illudiamo di avere già iniziato a trattarli, avendoli semplicemente sotto gli occhi; e nel farlo siamo portati sempre più al largo dalle correnti.
Questo accade quando avere tra le mani l’oggetto che dobbiamo usare (la teoria della selezione naturale oppure la proprietà delle potenze, che entrambe ci hanno così tanto affascinato in classe) ancora non ci fornisce alcuna indicazione su come utilizzarlo.
È il ‘problema’ della curiosità, vero?
È il non riuscire a tramutare tutto quel ‘divertimento’ che avevamo provato in effettivo impegno.
Come si può passare dal sapere all’agire, dunque?
Come possiamo aiutare i nostri studenti (e i nostri figli e noi stessi…!) a scavalcare il confine tra sapere e agire?
{sotto il paywall il percorso continua per gli abbonati. Magari non è per te il momento di investire nella mia attività, ma nel caso trovassi utile o interessante quello che finora hai letto, ti sarei davvero grata se volessi condividerlo con qualche amico o collega. Anche con questo piccolo gesto puoi sostenere la mia ricerca e il mio lavoro. Grazie}
Continua a leggere con una prova gratuita di 7 giorni
Iscriviti a Lettere ad un (giovane) docente per continuare a leggere questo post e ottenere 7 giorni di accesso gratuito agli archivi completi dei post.