“Noi siamo ora dei buoi ruminanti afflitti sotto il giogo, ora delle colombe disperse che fuggono tremanti gli artigli dell’avvoltoio intrisi del sangue delle loro compagne; volpi inseguite dai cani; tigri che si divorano a vicenda. Ma eccoci d’un tratto divenuti farfalle che dimenticano, volteggiando, tutti gli orrori che hanno vissuto”
(Voltaire, Nouveaux mélanges, 1765)
{Questo di oggi è il secondo appuntamento del nuovo percorso di formazione sostenibile, dedicato alla Distrazione come risorsa. Ti accompagnerò, fino al termine del mese di agosto, nell’esplorazione di questo concetto, che troppo spesso siamo stati abituati ad inserire nella ‘lista dei cattivi’.
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Buongiorno a te ♡
Il numero della scorsa settimana, quello di apertura di un percorso che sento profondamente mio perché fa parte della mia esperienza di vita, avevo voluto coincidesse con l’inizio del mese di luglio e quindi con il senso di sospensione, di vacanza, per molti di noi. Ciò che mi muove è il desiderio di sottolineare l’accezione attiva e propositiva di uno stato d’animo (l’essere ‘vacanti da’) che spesso giunge invece a sfociare in noia, insoddisfazione e rimpianto. Faccio mio slogan che coniò Antonio Spadaro - riferendosi alla letteratura - e affermo che la vacanza è infatti “visione, non evasione”.
Non so che cosa andrà ad abitare il tuo orizzonte, per le prossime settimane; nel mio sta - a lato di una necessità fisica di riposo - l’organizzazione puntuale di una modalità di lavoro da solopreneur (uno dei pochi neologismi che trovo efficaci!), il lavoro sul testo che ti ho presentato la scorsa volta, e magari anche le prime parole di un romanzo di formazione per ragazzi (l’orientamento è un tema che mi chiama da molteplici punti di vista…) che cullo da molto tempo.
Benché io abbia deciso di parteggiare per la squadra ‘visionaria’ e non quella del ‘divertimento’, vorrei provare però a riabilitare un certo qual confine del divertissement, quello che dà sul concetto di distrazione e - per via di essa - riesce a comunicare con la curiosità.
Eccola qui, allora, la sfida che ti vorrei proporre per i prossimi due mesi! Una sfida tutta dialettica, nella quale vorrei giocare con la lingua e con il pensiero per proporre una mia duplice argomentazione:
non siamo (noi, i docenti) forse troppo rigidi nell’assegnare alla distrazione sempre il ruolo del cattivo, nella comunicazione che abbiamo con gli studenti e le loro famiglie? “È sempre distratto!”, “Si fa distrarre dal compagno di banco”, “Inizia a fare i compiti e subito si distrae”, …
(ed anche) siamo certi di conoscere a fondo quel secondo confine, quello tra distrazione e curiosità? In base a quale criterio operiamo la distinzione tra il bambino curioso e il bambino distratto?
Mi chiedo - oso chiedermi! - se almeno una piccola parte della nostra insofferenza verso chi non segue puntualmente la strada che abbiamo segnato non sia per caso dovuta ad un malcelato senso di ‘onnipotenza’ che a volte si presenta come corollario non richiesto della nostra professione.
[Apro una parentesi sul mio passato]
Ricordo uno studente che era davvero brillante. Cresciuto in una famiglia molto aperta alle novità e alle esperienze; uno di quelli che a undici anni sapeva già quali erano state le notizie del TG1 della sera precedente, tanto per intenderci. Un libro sempre in mano, viveva in una casa dove le pile di volumi facevano da fermaporte (complice anche la professione della madre). Una risorsa per la classe, indubbiamente, a patto di incanalare una quasi ovvia, infantile, tendenza alla presunzione. Senza modestia alcuna, posso dire di averlo fatto, di esserci riuscita; durante le mie poche ore in classe (che - mi piace vincere facile! - erano anche quelle dell’ambito che egli preferiva). Pochissimi tra i miei colleghi riuscirono a vedere quel ragazzo come lo vidi io, pochissimi riuscirono ad osservare la crescita che egli aveva compiuto; molti continuarono, fino al termine dei tre anni, a giudicarlo ‘spocchioso’, impertinente, autoreferenziale, distratto. Distratto, appunto. Ricordo che io feci di quello studente, che spesso metteva in crisi - se non in dubbio - le mie lezioni, il fulcro di un’azione collettiva di apprendimento. L’ironia con la quale confessavo il mio stupore davanti alle sue considerazioni trainò altri studenti in una via dell’imparare che era per tutti, nessuno escluso. Mai mi sono sentita ‘scandalizzata’ dal fatto che egli avesse deciso di affrontare una questione utilizzando una strada che già gli era propria e che non coincideva con quella proposta da me.
Avrebbe potuto essere semplicemente uno studente svogliato e distratto, perso nelle sue considerazioni e pago delle sue conoscenze; si tramutò in un giovane uomo consapevole dei suoi limiti ma anche fiero della sua unicità, penso perché riconosciuto nella principale espressione di essa, che era una straordinaria curiosità.
[chiusa parentesi]
Dove finisce il metodo e inizia la curiosità? Dove sta il confine tra personalizzazione ed autoreferenzialità?
Ti propongo quindi un lungo percorso (più lungo dei soliti, che si esauriscono invece in quattro martedì), che spero possa permetterti di illuminare di luce nuova il tuo rapporto con l’insegnamento ma anche la relazione che hai con i tuoi desideri.
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