“L’uomo greco soffre per qualcosa, e serve dunque un oggetto perché tale sofferenza esista, mentre l’uomo moderno soffre tout court, e può essere egli stesso l’oggetto della propria sofferenza”
(J.-P. Vernant, Sur l’individu, 1987)
Buon venerdì ✰
Sto iniziando a leggere un volume che mi ha attratto innanzitutto per il titolo: La fatica di essere se stessi, di Alain Ehrenberg (il fatto che la Prefazione sia di Eugenio Borgna mi ha del tutto convinto ad acquistarlo, poi). Credo che ne consulterò più che altro la parte iniziale, dato che le mie competenze non sono di medicina né tantomeno di psichiatria. Sono incappata nella citazione di questa pubblicazione proprio mentre ultimavo la Guida del Docente del mio “Manuale per l’Orientamento nella scuola secondaria di I grado”.
Ad un certo punto di essa, rifletto su quanto oggi noi tutti diamo per scontata una certa idea di identità, intendendola cioè un oggetto psichico che ad ognuno sia dato di poter ‘costruire’. In definitiva, l’esigenza di orientare uno studente nasce da questo assunto. Non dobbiamo tuttavia correre il rischio di estendere a criterio generale dell’essere umano una lettura che non arriva a compiere tre secoli di vita. Soltanto con l’Illuminismo, infatti, iniziò a svilupparsi il concetto che a chiunque potesse essere concesso di diventare chi volesse. Indipendentemente dalle costrizioni date dalla posizione sociale o dal rango di nascita. Noi siamo evidentemente figli di quella certezza. Come sempre, a grandi conquiste corrispondono anche grandi responsabilità; l’idea che l’individuo potesse ambire a qualunque traguardo - un’ideale espressione della più alta libertà, dunque - trascinò con sé un destino di fatica. La fatica di mantenere, questo Sé scoperto e magari raggiunto.
Ehrenberg ricostruisce, infatti, nel suo volume una storia clinica della depressione. Di un male di vivere conseguenza di quella libertà di cui dicevo sopra.
Mi chiedo se questa suggestione - senza che essa vada a coinvolgere gli aspetti clinici - possa esserci utile, nella nostra quotidiana relazione con i giovani e giovanissimi studenti. Può essere un punto di riflessione e di incontro il retropensiero che la malinconia, generalmente detta, sia parte integrante della coscienza di sé? E quindi anche della storia dell’acquisizione di essa?
(se sei uno dei docenti che ha acquistato il percorso Manuale + Guida, ti anticipo che ho deciso di realizzare degli aggiornamenti continui di quest’ultima, ai quali avrai gratuitamente accesso, in modo da trasformarla in un dilagante convegno sull’orientamento nella scuola secondaria!)
Molto interessante è il fatto che il volume citato sia il terzo di una serie dedicata all’Uomo contemporaneo, all’interno della quale l’autore si è implicato, dapprima, nella definizione dell’individuo-traiettoria (tutto teso alla conquista di un primato sociale, sportivo, imprenditoriale) ed in seguito ha voluto analizzare le ragioni per le quali il medesimo individuo si scopre abitato da una preoccupazione inedita per la sofferenza psichica.
Il percorso che ti propongo oggi è costituito da una serie di domande che, a questo punto, io mi sentirei di rivolgere alla (multiforme) figura dello studente di scuola secondaria (di I e II grado). Il fatto che io pensi di rivolgermi a lui o a lei evidentemente non implica che lo faccia concretamente: non creerò questionari né penserei di poter avere accesso in tal modo ad una sfera tanto intima. Invece, userò le domande per poter in seguito progettare attività didattiche che abbiano lo scopo di aiutare lo studente a rischiararsi.
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