“Scrivo per non perdere il vizio di dire le cose.
Scrivo nel tentativo di lasciare una traccia.
Scrivo per paura che i pensieri mi passino di mente.
Scrivo per me.
Passeggio con la penna su questo foglio bianco e lo lordo di idee. Ci gioco, lo uso, mi lascio usare, sedurre, tentare.
Con la penna dico tutto, non mento, non ho pudore.
Dove la lingua esita e si ferma, la mano scorre fluida e leggera.
Scrivo per guardarmi dentro.
Scrivo per fermare il tempo”
(D. Maraini, Amata scrittura, 2000)
Buon venerdì ✰
Se sei qui da un po’ di tempo, non puoi non avere notato la mia predilezione per quelle terre di confine nelle quali la filosofia si fa voce delle diverse modalità di leggere e scrivere il mondo (un costrutto lessicale che, durante i miei percorsi di formazione, arrivo sempre a chiarire e porre al cuore della didattica orientativa).
Sto infatti aspettando con ansia di ricevere questo volume, ed intanto inizio a pensare a quale aspetto del mio essere insegnante esso riuscirà ad illuminare.
Devi sapere che la mia formazione in Biologia ha intercettato la ricerca dell’umano (del Rischiarare l’umano come scopo della scuola mi sto occupando da due settimane, ogni martedì, ti ricordi?) proprio grazie al metodo della filosofia. In particolare, il dramma dell’identità è stato il fulcro intorno al quale ha iniziato a ruotare la mia ricerca e la mia sperimentazione in classe.
Pensa a quanti e quali termini, relativi a tale mistero, abbiamo in mente quando programmiamo, quando interpretiamo le circolari ministeriali, quando ci confrontiamo in sala professori. Vi è l’Io, il Sé, il self (che spesso non sappiamo tradurre); ad un livello più alto - filosoficamente parlando - vi è l’idem e l’ipse…
Qual è il nostro interlocutore ultimo, fra tutti questi termini?
Perché se allo scostamento fra Io e Sé siamo (soltanto negli ultimi anni, però) forse più avvezzi, essendo il primo l’area nella quale impera il cognitivo e il secondo quella che un secolo fa iniziò ad essere esplorata come inconscio, con le altre declinazioni dell’identità siamo meno abituati a giocare.
(anche in questo caso) Ricorda che non è puro formalismo accademico, quello che ti sto proponendo!
È l’eterna sfida di chi assume su di sé il proprio ruolo sociale tanto da tentare sempre di tradurre ciò che è formalizzato in risvolto concreto. Tradurre ciò che è generale in particolare.
In questo caso, il particolare è il tuo studente, la tua classe.
E dunque, che cosa significa pensare agli argomenti del ‘programma’, alle attività didattiche, nella prospettiva identitaria?
Ti faccio un semplice esempio. Anche se insegni da pochi anni (o se hai l’insegnamento nella tua prospettiva di vita da poco tempo), non ti sarà certamente sfuggito come la bilancia si stia sempre più spostando sul piatto del Sé, alleggerendo quello dell’Io. L’emergere dell’attenzione sulle character skills (erroneamente definite ‘non cognitive’) e le crescenti suggestioni ad integrarle nel modus scolastico hanno indubbiamente determinato uno spostamento- più o meno evidente - della nostra stessa didattica.
Sono convinta non si tratti di scagliarci gli uni contro gli altri per affermare o dimostrare se tutto ciò sia un bene oppure un male, né di creare una classifica delle modalità migliori di fare scuola nel corso dell’ultimo secolo.
Molto meglio, invece, è interpretare il nostro fare scuola alla luce delle emergenti suggestioni teoriche. Con lo scopo - dal valore non indifferente - di prevedere le traiettorie future che la scuola prenderà.
E quindi anche, se necessario, pararne i colpi.
All’interno della mia didattica, ad esempio, lavorare sulla differenza tra Io e Sé ha impresso una svolta decisa ad alcune delle mie proposte. Ti lascio qui sotto la possibilità di scaricare la prima attività di quest’anno che ho proposto alla mia seconda (all’interno della quale è facile mettere in luce il peso del non cognitivo nella gestione degli apprendimenti).
All’interno del repertorio di Maria Popova (chi non la conosce? è assolutamente il mio idolo, lei!), ho poi trovato questo brano che ti riporto e che credo descriva perfettamente le turbolenze che animano i nostri studenti ed anche noi stessi:
E mi torna in mente il paradosso della nave di Teseo (chi ha acquistato il mio manuale per l’orientamento ha trovato una attività relativa ad esso), del quale ho già scritto più volte e che i miei studenti hanno adorato.
[quando la filosofia si fa metodo, si diceva, vero?]
Oggi voglio iniziare a presentarti un’attività da svolgere in classe e che può perfettamente adagiarsi lungo molte delle 30 ore da dedicare all’orientamento.
{sotto il paywall il percorso, e quindi l’accesso al documento, continua per gli abbonati. Magari non è per te il momento di investire nella mia attività, ma nel caso trovassi utile o interessante ciò su cui lavoro, ti sarei davvero grata se tu volessi condividere la newsletter con qualche amico o collega. Anche con questo piccolo gesto puoi sostenere la mia ricerca e la mia professione. Grazie}
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