“Se nel pensare ci fosse l’oppositore
ma non il nemico,
allora più propizio sarebbe l’esercizio del pensiero”
(M. Heidegger, L’esperienza del pensare)
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Buongiorno ✤
La scorsa settimana, se ricordi, ho voluto esplorare le possibilità del pensiero come dialogo. Dialogo silenzioso tra un Io e un altro Io, che abitano la stessa mente ma si fanno portavoce di vissuti diversi. Da questo muto eppur ricco discorso nasce la coscienza.
Sei d’accordo con la lettura che avevo proposto martedì scorso delle Linee guida per l’orientamento come incipit di una educazione al dialogo?
In realtà, educare al dialogo - quest’ultimo anche interiore, che abbia luogo cioè nella mente del singolo studente - è una locuzione che si sovrappone, come significato, alle azioni che progettiamo e mettiamo in pratica allo scopo di produrre apprendimenti significativi.
Penso che troppo spesso si confonda il concetto di esperienza con quello di traslazione dall’astratto al concreto, generando così un’idea errata delle condizioni che permettono la sedimentazione di un apprendimento. Esperire è, appunto, il traslare un oggetto inedito (che potenzialmente potrà diventare di apprendimento, e per la vita) all’interno di un vissuto. Il vissuto al quale possiamo attingere, come docenti, sono anche i pensieri che i nostri studenti possiedono relativamente a tali oggetti. Pensieri, ovvero pregiudizi, preconcetti, credenze, misconcetti, ipotesi. Quale ricchezza possiamo sfruttare, per rendere significativo un apprendimento, procedendo appena un po’ oltre l’ossessione del fare! Sono polemica, me ne rendo conto, ma - da ‘vecchia’ studiosa di matematica, di fisica, di biologia e chimica - ho sempre provato uno struggimento intenso quando sentivo alcuni colleghi pontificare relativamente alla necessità di rendere quelle discipline ‘esperibili’ SOLO nel senso di verificabili con i sensi.
Perché non rileggiamo ciò che scriveva Galilei quando descriveva come poter misurare la velocità della caduta di due gravi di massa diversa?
La strada verso lo sviluppo del pensiero critico e della capacità argomentativa passa, in ogni singola disciplina, dall’educazione a sostare sul gioco dei propri pensieri.
Insegnare significa, a mio avviso, (tra le molte accezioni) trasformare le discipline che abbiamo tra le mani nel luogo di residenza di una comunità di discorso. Ecco che cosa è una classe, la tua classe: una comunità di discorso. Un insieme di individui che, attraverso le loro azioni discorsive, innescano la problematizzazione. Come enunciava Platone nell’Apologia, la problematizzazione è un processo che transita dall’interrogare (erēsomai), dall’esaminare (exetasō) e dal confutare (elegxō).
Educare i giovani (ed anche i molto giovani studenti della scuola secondaria di primo grado) ad adoperarsi in modo da inserirsi in una comunità siffatta, e da costruirla, è l’altra faccia della medaglia della tensione, che comunichiamo, ad abbandonare l’economia del pensare. Utilizzare pensieri già pensati, ripetere azioni senza mai sottoporle al tarlo del dubbio… lì giace una ordinarietà che è assenza di pensiero vivo, mancanza di riflessione.
“Si è sempre fatto così”... quante volte abbiamo udito ripeterlo nelle sale professori?
Problematizzare è forse la più seria delle parole del pensare, allora.
Come mi sto divertendo, nella mia attuale seconda, mentre lavoriamo con le ‘trite e ritrite’ frazioni ed ogni volta introduco elementi di perplessità che hanno lo scopo di disfare - appunto - i pensieri già pensati!
Ti è mai accaduto, ricordando una lezione appena svolta, puntualizzare tutte le domande che ne hanno determinato lo svolgimento?
Domande vere, cioè non domande alle quali la risposta nemmeno la possiedi tu stesso, ma che ti sembra inevitabile dover porre ai tuoi studenti, in quel preciso momento e contesto.
Sempre Platone, questa volta nel Menone:
“[la torpedine] paralizza gli altri solo paralizzando se stessa. Non è che, conoscendo io stesso la risposta, renda perplessi gli altri. La verità è, piuttosto, che contagio anche loro della perplessità che io stesso sento”
Oggi voglio parlarti dei verbi che si originano quando poni le domande vere: le azioni (positive) che puoi portare la tua classe a compiere.
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