“I membri della comunità sono legati da un dovere di dono reciproco [...] che li porta ad uscire da sé per rivolgersi all’altro”
(R. Esposito, Termini della politica: comunità, immunità, biopolitica, 2008)
Buongiorno e ancora buon anno ❃
Adesso si inizia davvero, no? Dopo un paio di settimane dedicate alle nostre riflessioni, alla nostra creatività, al confronto e ad uno studio da svolgersi in tempi meno serrati di quelli ai quali esso è destinato nella restante parte dell’anno scolastico.
Negli istanti conclusivi - e compulsivi! - di questo ‘dietro le quinte’ nel quale ognuno si appresta a rivestire quei panni che forse mai dismette, approntando la tavola per il prossimo anno dei suoi studenti, penso sempre a quale straordinaria possibilità - per tutti - possa essere la scuola.
Una possibilità di benessere.
Ne abbiamo parlato molto anche la scorsa settimana, durante il percorso Orientare: perché? Ci siamo spesso interrogati sulle modalità da adottare, nella scuola, affinché la decina o più di anni che i ragazzi trascorrono ‘istruendosi’ diventi un tempo veramente significativo ed esemplare per la vita adulta.
Stare bene a scuola significa molte cose, che spesso si alimentano a vicenda.
Significa trovare uno spaziotempo da abitare, nel quale distendersi, distendere il proprio tempo (la cui estensione ha una misura affatto indifferente).
Quali caratteristiche deve possedere uno spazio che sia in tal modo - che è un modo complesso - confacente al singolo e alla comunità?
Ho provato a stilare una specie di vademecum in forma di domande e di obiettivi.
Come possiamo riuscire a fornire agli studenti strumenti per un benessere cognitivo? Se penso alle ultime settimane appena trascorse, mi si figurano professionisti che si sono rivolti ad approfondire la propria disciplina, ad esplorarne aree dismesse, a mettersi in gioco per provare ad essere quello che non sono mai stati. Bello, tutto questo.
Come agiamo - in classe, nei corridoi, nei cortili - affinché il tempo della scuola sia evento di benessere affettivo? Quando osservo certi miei studenti, mi sembra di smarrirmi in una (ancora, sì) complessità di emozioni e reazioni che è spesso un abisso per loro stessi. La scuola non ‘aggiusta’, non ‘risolve’ il groviglio, ma può tendere la mano per afferrarne il capo.
Il tempo della scuola è in grado di estendersi in uno spazio adeguato? Muri che si scrostano, riscaldamenti che non funzionano, aule che diventano una serra da un certo periodo dell’anno in poi. Io non riuscirei più a restare seduta, con la schiena dritta, per ore e ore di fila; confinata sotto un banco magari inadatto alla mia altezza. “Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo” scriveva Adriano grazie alla voce fornitagli da Yourcenar. Ma è anche vero che la bellezza genera responsabilità. “Ti stimo così tanto da affidarti un oggetto prezioso, del quale so che saprai prenderti cura”... Proviamo a inondarli di stima, allora!
Come posso, io insieme ai miei colleghi, fare in modo che la scuola si offra come modello identitario? Qual è la ricetta segreta perché sia essa - e non altre abbacinanti Sirene - la possibile rappresentazione del proprio futuro? Anche di questo abbiamo parlato in settimana, e cioè della evidenza che tutti gli adulti autorevoli lo sono in virtù del fatto di essere testimoni di un processo di auto-orientamento narrativo. Può far tremare le vene dei polsi, questo, ma ci siamo forse mossi, abbiamo preparato concorsi e posizionato crocette, per meno di tutto ciò?
Il mio augurio è dunque questo: che tu possa essere, in quest’anno scolastico, testimone di chi sei e che tu possa inondare di stima i tuoi studenti!
A lunedì prossimo ❃
Simona