Buon martedì ✫
Mentre, in settimana, pensavo al percorso di formazione ‘sostenibile’ che avrei proposto successivamente a quello sulla responsabilità dell’educare (che si è concluso martedì scorso), riflettevo sul fatto che sarebbe stato interessante approfondire il senso e il valore che oggi diamo (o vorremmo dare) a quella Istituzione nella quale - metaforicamente o letteralmente - abitiamo: la scuola.
[oltretutto mi sono detta che quello di oggi e quelli dei prossimi tre martedì potrebbero essere utili anche a tutti i docenti di Lettere del primo grado, a quelli di Storia e Filosofia, Diritto etc poiché potrebbero trovare, nella direzione che indicherò e nelle riflessioni che ‘metterò sul tavolo’, risorse utili per i percorsi di Educazione Civica]
Senza perdersi in analisi sociologiche e dati statistici, non facciamo fatica a leggere, intorno a noi, la profonda disistima che serpeggia nei confronti della scuola come Istituzione. Una generalizzata disaffezione che, in questa seconda decade del XXI secolo, tuttavia si riflette - e ‘reagisce’, anche - nelle modalità che essa ha scelto di presentarsi all’esterno.
Già avevo osservato, un paio di mesi fa, come lo scontro scuola-famiglia al quale spesso - quasi quotidianamente, direi, purtroppo - assistiamo nasca da una fragilità di fondo che non tutti, tra i soggetti che sono ‘parte in gioco’ - sono disposti a riconoscere né a sanare in modo collaborativo.
Se vogliamo riunirci tra le mura di una Istituzione - che nasce sancendo la volontà di uno Stato di farsi carico dei suoi futuri cittadini - ho pensato allora che sarebbe stato interessante ragionare insieme sui connotati di essa. Anche per mettere in evidenza ciò che è, eventualmente, ‘storto’ al suo interno, e per elaborare ipotesi alternative.
Sono convinta che sia una necessità per tutti, per ognuna delle figure sociali: famiglie, professionisti dell’istruzione e formazione, studenti.
Riflettiamo un momento su che cosa sia un’istituzione.
Siamo individui dotati di coscienza, di razionalità, di immaginazione. Tutti gli aspetti con i quali si manifesta la nostra umanità sono stati forgiati, nel corso della Storia, dalle grandi istituzioni della società.
Se consideriamo come hanno agito i monasteri, le università, le corporazioni di artigiani, i gruppi politici, potremmo però innanzitutto osservare che si tratta di strutture che hanno limitato le manifestazioni del singolo individuo. Gerarchie e regole hanno rappresentato un confine che il singolo non poteva, in alcun modo, valicare. In un certo senso, esse riducevano le possibilità di affermazione individuale. D’altra parte, grazie a queste istituzioni, ognuno poteva ricavare sicurezza - materiale o spirituale - e rinvenire, in tali strutture, le tracce di umanizzazione. Gli ideali sui quali esse si reggevano (ideali di Bellezza, Verità, Giustizia) creavano le condizioni affinché il singolo individuo ambisse al miglioramento di sé.
Il filosofo Philippe Meirieu (che avevo già portato in causa qualche tempo fa) definisce il valore delle istituzioni nella possibilità che esse offrono al singolo individuo di entrare in relazione con l’ideale, e di conseguenza di orientare la vita di ognuno verso di esso.
Ciò che è interessante osservare è che, a mano a mano che l’individuo si avvicina all’ideale (che può essere politico, religioso o altro), egli trova se stesso.
Le istituzioni sono sempre state, quindi, delle culle di umanità.
‘Umanità’ nel senso di umanizzazione, di riscoperta dei princìpi e dei valori dell’essere umani.
Si obbedisce alle regole di una istituzione solo per liberarsene, un giorno.
(che è quello che sento da sempre dire da parte dei colleghi di Arte o di Italiano: solo dopo aver acquisito profondamente le ‘regole del gioco’ di un linguaggio, si può demolirlo e inventarne un altro)
Quando giunge il momento del matricidio? Quando l’individuo ha talmente interiorizzato quei criteri - quell’ideale - da essere diventato capace di rinvenirlo anche in se stesso.
[Jung definiva questo processo come individuazione]
Troppo accademico, tutto ciò? Mi auguro di no…
Innanzitutto perché riconoscere tutto ciò che ti ho appena detto significa rendere giustizia al percorso che ci ha condotto al nostro, attuale, livello di umanità. Esserne grati, quindi, anche. Ed è a seguito di questa riflessione che potremo poi chiederci se la scuola - quale istituzione particolare - sia destinata a disintegrarsi o possa ancora avere un futuro.
Il percorso che inizia oggi penso quindi possa valere per te e per me, poiché entrambi siamo educatori, ma possa essere rivolto anche agli studenti (o trasformarsi in discussioni serali con i figli o con amici), nell’ottica di fare chiarezza a noi stessi su quale sia il valore della scuola e della formazione in un’epoca nella quale l’individuo rifiuta sempre più spesso di sottomettersi ad autorità esterne, ma desidera imparare da sé e trovare in sé quel bello, quel vero e quel giusto.
Penso sia la sfida più alta alla quale siamo chiamati.
Molti sono i filosofi contemporanei che sottolineano come ci troviamo soltanto all'inizio di un’era dell’individuo. “Diventa ciò che sei” è un lascito della filosofia di fine Ottocento e, a ben vedere, è anche il criterio sul quale basiamo i nostri percorsi di orientamento.
Il problema che si trovano a fronteggiare tutti coloro che si fermano a riflettere sui sentieri attuali è quello di una individualità che spesso rischia di essere mediocre, tanto debole da subire la tirannia sia delle proprie passioni che di un sistema che ambisce soltanto a sfruttarla.
La scuola è in grado di diventare (poiché possiamo ben dire che attualmente non lo sia…) quella istituzione che possa permettere alle singole individualità di ergersi in piedi? Riuscirà a prendere il posto di ciò che furono monasteri e università?
Come possiamo fare in modo che la scuola diventi una matrice per il processo di individuazione?
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