“Non avevano preso in considerazione [...] l’appetito quasi infinito dell’uomo per le distrazioni”
(A. Huxley, Ritorno al mondo nuovo, 1958)
{Ciao! Questo che stai per leggere è l'ottavo e ultimo appuntamento del mio percorso di formazione sostenibile, dedicato alla Distrazione come risorsa. Ti ho accompagnato nell’esplorazione di un concetto che troppo spesso siamo stati abituati ad inserire nella ‘lista dei cattivi’: la distrazione.
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Buongiorno ✻
Spesso, nel corso di queste otto settimane (!) di esplorazione dell’universo della distrazione, ho condiviso con te l’immagine che ho nella mente dello studente X, “perso nei suoi pensieri”, alla finestra dell’aula. Mentre io sto spiegando, ovvio.
Poiché desidero iniziare a guardarlo in modo diverso, il mio caro X, a partire dal 12 settembre, ho intrapreso il viaggio che ha fatto tappa in questi ultimi sette martedì. E posso davvero assicurarti che qualcosa mi si è mosso dentro… Una incrollabile certezza - croce e delizia di noi docenti! - ha iniziato a produrre delle crepe e la domanda si è infiltrata.
Se ricordi, il mio sentiero aveva costeggiato soprattutto i lidi della letteratura e della filosofia; oggi voglio lasciarmi suggestionare dalla scienza dell’informazione. Anzi, dalle riflessioni relative al design dell’informazione.
Sto leggendo Scansatevi dalla luce: libertà e resistenza digitale, di James Williams. Nel periodo in cui l’autore lavorava in Google, il suo ruolo veniva definito “organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e utili”. Ben presto, avviando una serie di riflessioni sul concetto dell’information design, Williams si accorse che in realtà il suo compito era piuttosto quello di organizzare l’attenzione degli utenti.
Lascio che tu scopra - nel caso ti interessi - il testo citato, ma ti chiedo di seguirmi nel cambio di contesto che ora ti propongo.
Uno dei fiori all’occhiello della nuova scuola dell’autonomia è stato l’essersi dotata di mille innovativi dispositivi tecnologici. Le Lim ormai sono quasi considerati oggetti antidiluviani, ma ti ricordi quando si portava in classe il mobile con la televisione e il dvd? Penso di aver fatto in tempo ad assistere anche al lettore VHS da accendere, nel mio passato! Il laptop individuale sul banco è panorama di molte lezioni, il tablet anche. Non sono tante le scuole che sono riuscite a dotarsi di tutti questi dispositivi, ma la direzione era indubbiamente quella. Per presentarsi innovativi all’utenza, per venire incontro alle esigenze di individualizzazione e personalizzazione, etc.
Io, ad esempio, uso sempre la Lim, ma solamente come schermo su cui proiettare dal mio laptop il lavoro che chiedo di compiere e per condividere con la classe tutto ciò che dico (e quindi scrivo). Solo in terza, la fase della scrittura chiedo che sia autonoma, sotto forma di appunti personali.
Detto ciò, affermerei che la Lim è l’unica tecnologia che uso? Certamente no. Gli studenti hanno il manuale aperto, e soprattutto (lo sai, ormai, che non sono una grande fan dei manuali di testo!) il loro quadernone ad anelli/portalistini, che narra tutta la storia del percorso che abbiamo compiuto insieme in classe. Nessun tablet, nessuna app da utilizzare in classe. Eppure… a questo punto mi chiedo se il mio studente-tipo sappia che cosa dovrebbe fare per lui tutta quella tecnologia.
Penso invece che per alcuni (magari tanti) dei miei studenti si ponga la domanda: “che cosa me ne faccio di tutto questo?”. Rispondere “per imparare” mi sembrerebbe una tautologia. Perché per molti dei nostri studenti, magari i meno maturi, i meno brillanti, i più ‘normali’, la presenza contemporanea di più dispositivi (nel mio caso, manuale e portalistini) invece di catturare l’attenzione, genera distrazione.
Arrivo quindi oggi a porti la seguente suggestione:
siamo anche noi organizzatori di attenzione!
E mi piace molto, devo dire, questa nuova declinazione che possiamo dare all’essere docenti.
Williams suggerisce che, per evitare di diventare preda della distrazione profonda, esistenziale (che lui stesso sperimentò in Google e che potrei scommettere vivono alcuni dei miei studenti in classe), bisognerebbe che non vi fosse più “profonda discrepanza tra gli scopi delle nostre vite e gli obiettivi che le tecnologie si pongono per noi”. Lo trovo un consiglio radicalmente vero. Le tecnologie che decidiamo di usare in classe (la nostra voce, in primis) aiutano gli studenti a diventare le persone che vogliono diventare oppure li aiutano soltanto a fare ciò che noi vogliamo che facciano?
Mi risponderai che è ancora la solita questione del fare in modo che conoscenze, abilità, diventino incarnate (preferisco questa definizione al termine ‘competenza’). Può essere. E infatti penso proprio che in quel terreno (di incarnazione) si giochi tutta la partita che allontana dall’abbandono scolastico.
Ecco. Ti ho svelato lo scopo della mia riflessione di oggi, quella conclusiva del percorso sulla distrazione:
come possiamo diventare professionisti di design culturale, nelle nostre classi? Ti racconterò, in particolare, di una sperimentazione che ho deciso di mettere in atto, sin da settembre.
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