Buon lunedì! ♡
[sì, lo so… sono stata un po’ latitante, ultimamente. Oltre alla (normale?!) gestione didattica di ogni parte finale dell’anno scolastico, la progettazione dei corsi PNRR sulla consapevolezza digitale ha - felicemente - occupato quasi tutti i miei momenti di studio]
✩✽ A proposito, vorrei dedicare i mesi giugno-luglio-agosto ad attivare un percorso (trimestrale appunto) dedicato all’esemplificazione di come una sensata didattica interdisciplinare possa oggi intersecare le risorse del web.
Se pensi che possa interessarti, ti chiedo di rispondere a questa e-mail, specificando se insegni alla primaria oppure alla secondaria e quale sia il tuo ambito disciplinare. ✩✽
Però ho letto tanto, studiato moltissimo e sono in attesa di assistere al lento riemergere di tutto ciò che sta sedimentando nella mia mente; come sempre accade, so che tutto ciò che di significativo acquisiamo riaffiora poi in forma inedita e comunque differente da quella della quale eravamo venuti a conoscenza. Ad esempio, una lettura che ti consiglio di cuore è il primo romanzo scritto da Elena Rausa: Marta nella corrente (Neri Pozza, 2014). Lo sto terminando in queste ore e ti assicuro che sto trovando molto difficile posarlo sulla credenza, ogni sera dopo la cena (il cuscino ha su di me un istantaneo effetto soporifero e quindi a letto non sono mai riuscita a leggere!).
Ieri, ad esempio, ho abbracciato il passo che ti riporto qui di seguito:
«[...] quando penso al significato del prendersi cura, mi pare che la cura non sia solo la capacità di capire quel che serve a chi hai di fronte… intendo un farmaco come anche un aiuto qualsiasi, materiale, psicologico, spirituale, quel che serve, insomma. La cura è anche la capacità di fermarsi e aspettare, anche se sai che non puoi scommettere su come finirà.»
Mentre leggevo queste righe, il pensiero mi si è istantaneamente spostato sulla relazione che abbiamo con i nostri studenti, che in definitiva nasce dalla qualità dello sguardo che dedichiamo alle nostre progettazioni, ai nostri consigli di classe, alla correzione delle verifiche…
Non voglio vestire le mie parole delle banalità - pur vere - che ruotano intorno all’esigenza di lentezza nelle nostre vite, tuttavia dobbiamo pur tenerlo a mente che l’opera educativa è, sopra ogni cosa, un rischio. Non intendo, con la parola “rischio”, riferirmi alle nostre competenze o all’immagine sociale di una bistrattatissima professione; semplicemente, mi piace ricordare a me stessa che qualsiasi genere di relazione è significativa solo se si instaura tra un Io e un Altro. Ed è a questa alterità che risulta inestricabile la dimensione del “rischio”.
Come ci sentiremmo tutti più sollevati se ribadissimo a noi stessi la necessità che i ragazzi e le ragazze sentano su di sé l’occhio benevolo di chi vuole (prima ancora di sapere) aspettare ? Aspettarli. Aspettarli mentre cercano di capire la differenza tra curiosità e interesse, mentre decidono di compiere il primo passo nella fatica, mentre imparano ad accettare di non essere perfetti.
Lo sguardo che attende (l’Altro) sa interpretare in modo critico ogni Linea Guida, sa mantenere il respiro cadenzato mentre pensa a ciò che la classe non riuscirà mai a conoscere entro il 6 giugno. Lo sguardo che attende è quello che cura perché, appunto, ha a cuore la dimensione globale dello studente: cognitiva, emotiva e volitiva.
E tu, in quali occasioni hai sentito su di te uno sguardo che/di cura…?
Un abbraccio e buona settimana a te ♡