Foto di Joshua Hoehne su Unsplash
Buongiorno!
Con l’articolo di oggi si conclude il primo mini-corso delle Stanze di Valore, qui su Lettere ad un (giovane) docente. Devo dire che sono molto soddisfatta di come è stato accolto ‘dal pubblico’ (anche se mi sento un po’ in imbarazzo ad utilizzare questa espressione): una partecipante lo ha definito “una modalità soft di prendersi cura di sé come professionista dell’educazione”. Ne sono onorata.
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Per chiudere questa prima sezione (perché sospetto proprio ve ne saranno molte altre!), ti propongo due brani tratti da Ricerca pedagogica e innovazione educativa, di A. Bobbio e C. Scurati (Armando, Roma, 2008).
“Nessuna valutazione, seppur ancorata ai migliori criteri di scientificità, sarà mai oggettiva. Essa, infatti, si basa su un elemento ideale costruito da un soggetto e su un elemento fattuale che, in realtà, viene selezionato dallo stesso soggetto”
“Trattare la valutazione pedagogicamente significa prima di tutto saperla riconoscere e distinguere, anche all’interno di quelle procedure che normalmente chiamiamo di valutazione. Quando sto valutando? Quando sto analizzando? Quando sto decidendo? Quando sto esercitando forme di controllo?”
Mi piace molto la spinta a muoversi verso una etica della valutazione, che possa contrastare la logica performativo-economicista che abbiamo visto dilagare negli ultimi decenni.
Un altro aspetto sottinteso nelle due citazioni riportate è la necessità di rendere la nostra professione un tempo altamente riflessivo. Se mi conosci, sai che è uno dei miei slogan, quello del ‘docente riflessivo e ricercatore’!
Ho quindi pensato, per l’appuntamento di oggi, di stilare una specie di vademecum linguistico per aiutarti ad entrare pienamente in quella dimensione.
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