Buon venerdì ♡
Come da tradizione delle Lettere ad un (giovane) docente, il venerdì mi piace proporti una riflessione e dei materiali che abbiano - più o meno largamente - a che vedere con il tema della didattica orientativa.
Oggi, in realtà, voglio sostare più a monte ancora, in un luogo dell’orientamento che precede addirittura le scelte didattiche. Ci troveremo in un terreno che è stato già esplorato dalla psicologia dell’età evolutiva e dalla psicologia cognitiva e che perciò dovrebbe essere accaduto anche a noi di mettere a tema, durante la preparazione ad un ‘qualche concorso’ oppure in occasione di corsi di aggiornamento.
Ma…
1. Magari non è accaduto, invece
2. Magari mi leggi ma non sei un docente
3. … Vorrei parlartene comunque 😁, perché vi sono esperienze condivise che potrebbe essere utile conoscere
Il luogo di sosta che ti propongo oggi permette di osservare il panorama dell’interesse.
Partirei, però, da un’ipotesi di lavoro che, in realtà, vorrei non fosse da dimostrare:
Ogni sistema educativo ha come scopo non soltanto quello di far acquisire conoscenze/competenze agli studenti, ma anche di renderli capaci, sicuri ed entusiasti studiosi
Si tratta di un’affermazione basata sull’assunto implicito che l’apprendimento sia - nella storia di vita di un individuo - un evento valutabile come positivo. Ne consegue che uno dei maggiori traguardi al quale la società ed ogni docente/educatore dovrebbe ambire è sostenere la motivazione e l’interesse di chi sta apprendendo ed anche - perché no? - la sensazione di piacevolezza associata all’imparare.
Ogni passo dell’apprendere deve essere celebrato
Anticipo un’eventuale obiezione: non sto affermando che imparare sia azione che possa realizzarsi senza fatica e non sto dicendo che la fatica sia ‘piacevole’. Tuttavia, penso che, nel bilancio complessivo, ogni apprendimento dovrebbe portare con sé più piacere che sofferenza. Ed aggiungo che dovrebbe farlo nell’immediato. Trascorrere cinque anni prima di vedere esplicitato lo scopo di una fatica mi sembra improponibile e francamente assurdo.
Che poi sia soltanto al termine di questi cinque anni che si riuscirà a tradurre Platone oppure scendere sotto il tempo buono per la qualificazione ad un campionato mondiale, è altra faccenda. Questo non è in contrasto con la necessità che ogni singolo passo dell’apprendimento debba essere, a mio avviso, in qualche modo celebrato.
Sono già stata molte volte su questo aspetto, che si manifesta principalmente come realizzazione di una valutazione di processo, a discapito (in termini percentuali) di quella di prodotto.
Sancire con una comunicazione chiara, efficace, coerente, ognuno dei passi dell’apprendimento significa sostenere una motivazione che avrebbe quindi come oggetto un evento più prossimo e facilmente sperimentabile della meta lontana.
Come si presenta una comunicazione chiara, efficace e coerente dei (piccoli) successi ottenuti strada facendo?
Deve essere espressa nel medesimo ‘linguaggio’ di quella destinata alle valutazioni di prodotto: un voto numerico, se si usano voti numerici, non un “+” o una pacca sulla spalla!
Deve essere puntuale e tempestiva, proprio perché si deve associare - nella mente dello studente - allo specifico (quasi insignificante) evento accaduto
Deve essere declinata secondo le voci utilizzate nelle valutazioni standard di prodotto: si deve fare riferimento ad una specifica competenza che è stata messa in atto
Insomma, valutazioni sommative a fine quadrimestre, “per l’impegno dimostrato”... anche no!
Dunque, dopo queste ‘dritte’ iniziali, arriviamo al vero tema di oggi: l’interesse.
Se dovessimo definire che cosa esso sia, diremmo innanzitutto che è un sentimento, associato alle sensazioni di coinvolgimento emotivo, fascino, curiosità (Izard, 1977). Ognuno di questi ultimi termini meriterebbe una trattazione a sé, ma accontentiamoci di riunirli in un mazzetto di erbe aromatiche e descriviamo il tutto come “interesse”, appunto.
Si tratta di uno stato psicologico caratterizzato da attenzione focalizzata, incrementato funzionamento cognitivo ed emozionale, persistenza in uno sforzo. Delle due forme di ‘interesse’ che vengono di norma valutate (individuale e situazionale), voglio considerare la seconda, poiché è quella che viene sollecitata dall’ambiente, dal contesto.
Nel nostro caso, la scuola.
Di contro, sperimentare come piacevole un’esperienza implica la frequentazione dei territori emotivi della sicurezza di sé e dell’autostima. Gli anglosassoni si riferiscono al sentimento provato in tali situazioni come ad un enjoyment, che noi poi possiamo tradurre come ‘godimento, appagamento’ ma che ha nella radice ‘joy’ la sua fonte originaria.
Che l’accoppiata interesse-appagamento non meriti di essere tanto (e tanto spesso) esclusa o dimenticata dalle motivazioni che sorreggono la nostra attività didattica è dimostrato dal fatto che entrambi i sentimenti vengono categorizzati come affetti primari (secondo il pionieristico lavoro di S. Tomkins, del 1962).
Quante volte, nel corso di un consiglio di classe, viene posta all’ordine del giorno l’analisi dello stato della coppia interesse-appagamento, per una classe così come per ogni singolo studente?
Siamo davvero così figli (schiavi, oserei dire) di una cultura del sacrificio e della responsabilità-fine-a-se-stessa da pensare che gli scopi principali della scuola e dello studio non siano 1) mantenere un interesse umano per la realtà e 2) gratificare i passi di un percorso di fatica?
In nome di che cosa dovremmo ripudiare questi traguardi? Della speranza di assicurare, in futuro, un ‘posto nell’ingranaggio’ ai nostri studenti?
Nella sezione seguente, ragionerò su ciò che alcuni studi recenti affermano possa generare ed amplificare l’interesse situazionale, in modo da poterne trarre delle indicazioni concrete per le nostre attività didattiche.
Leggerete quindi come si può trasformare un interesse situazionale in uno di tipo individuale.
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