Buon venerdì ✰
Facciamo un gioco.
Torniamo alla casella del “Via!” e interroghiamoci per un momento non sui dettagli, le scelte particolari, ma sull’immagine complessiva e globale della SCUOLA.
Ogni processo formativo, in definitiva, si nutre di due radici: 1) la vita; 2) la conoscenza. Le esperienze, gli apprendimenti e gli incontri acquisiscono infatti significato soltanto se 1) si riferiscono alla vita e 2) si nutrono di conoscenza.
Heinz von Fœrster, nel 1982, nel testo “Sistemi che osservano” stabilì quello che potrebbe essere considerato un imperativo etico per noi insegnanti, invitando a generare un’educazione orientata a produrre sempre nuove occasioni per se stessi e per gli altri.
“do ut possis dare, cioè agisci sempre in modo di accrescere il numero totale delle possibilità di scelta”
A me questa cosa sembra bellissima.
Martedì non si parlava forse di ‘possibilità’ e ‘impossibilità’?
In un certo senso, le parole di von Fœrster esprimono l’esigenza, per chi fa la scuola, di elaborare strategie che hanno come scopo la continua creazione di possibilità, l’attualizzazione di una parte del possibile. La conseguenza - nello studente che apprende - è quella di imparare a mantenersi in equilibrio con il mondo in cui vive, andando e tornando ad esso a partire dalla propria individualità, dal proprio vissuto; in sostanza, dalla propria vita. Si tratta di un equilibrio che è fondamentale da raggiungere, poiché consente alla persona di sottrarsi ai due estremi: il posizionamento utopico al di sopra della realtà e quello rassegnato al di sotto di essa.
La realtà non si può saltare a piè pari, non ci si può proiettare nel possibile senza attraversare il tempo e lo spazio che creano le nostre vite.
Lo ricorda anche Musil in “L’uomo senza qualità”:
“Se il senso della realtà esiste, e nessuno può mettere in dubbio che la sua esistenza sia giustificata, allora, ci deve essere anche qualcosa che chiameremo senso della possibilità. Chi lo possiede non dice, ad esempio: qui è accaduto questo o quello accadrà, deve accadere; ma immagina: qui potrebbe o dovrebbe accadere la tale o talaltra cosa; e se gli si dichiara che una cosa è com'è, egli pensa: be', probabilmente potrebbe anche essere diversa. Cosicché il senso della possibilità si potrebbe anche definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe essere, e di non dare maggiore importanza a quello che è, che a quello che non è”
Mi piace moltissimo questa visione dell’insegnante come colui/colei che non dà maggior importanza a quello che è rispetto a quello che non è o - meglio ancora - a quello che potrebbe essere. Il possibile va quindi indagato - con immaginazione e creatività - con la medesima urgenza e lo stesso rigore con cui ci si dedica a descrivere ciò che è.
Che cosa diventa questo richiamo quando viene calato nella concretezza del lavoro in classe?
Ne parliamo nella parte seguente.
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