“La sacca in questione è una piccola sacca di resistenza. Si forma quando due o più persone si trovano d’accordo tra loro. La resistenza si esercita contro la disumanità del nuovo ordine economico mondiale. Le persone coinvolte siamo io, il lettore, e quelli di cui si parla nei saggi: Rembrandt, i pittori delle caverne del Paleolitico, un contadino rumeno, gli antichi egizi, un esperto di solitudine in certe camere d’albergo, cani al crepuscolo, un uomo in una stazione radio. E inaspettatamente i nostri scambi rafforzando ciascuno di noi nella convinzione che quanto sta accadendo oggi nel mondo è sbagliato, e quel che si dice è spesso una menzogna. Non ho mai scritto un libro con un maggiore senso di urgenza.”
Buon lunedì ♡
Amo John Berger. Ho letto quasi tutto, di ciò che ha scritto. Ma Sacche di resistenza occupa un posto particolare nella mia storia di lettrice e studiosa, non fosse che perché esso fu l’occasione per me di incontrare per la prima volta l’autore. (scopro che il libro è attualmente fuori catalogo… Ah, che terribile mancanza di lungimiranza…!)
Mi sono tornati in mente, in settimana, i saggi raccolti in quel volume; non tanto in relazione agli argomenti trattati, ma proprio riguardo al metodo che Berger sancisce, attraverso le parole che si ritrovano stampate nella sovraccoperta e che ho riportato in citazione.
Si tratta - mi rendo conto - del metodo (chiamiamolo pure stile, o poetica) che ho provato il desiderio di applicare anch’io, sin dall’avvio del progetto delle Lettere ad un (giovane) docente. E cioè creare - attraverso il pensiero che si fa parola - delle aree minime, nelle quali io e altri avremmo potuto trovarci d’accordo e, lavorando all’interno delle quali, (a questo punto) noi avremmo potuto tentare di agire diversamente, rispetto a quanto vediamo di ‘sbagliato’ nella scuola.
Le riflessioni che qui riporto sono molto spesso domande, che sono forse stanca di rivolgere solo a me stessa, spesso esperienze accumulate nei miei ventisei anni di carriera; quasi mai sono certezze.
Alcune di queste poche certezze, le avevo riportate lunedì scorso, in un impeto di felicità.
Veniamo da un paio di settimane durante le quali il verbo ‘resistere’ è stato da moltissimi ripreso e declinato nella differenti esperienze di vita, passate e presenti.
Benché non ami particolarmente applicare un gergo bellico al terreno della scuola, sono assolutamente convinta che essa oggi sia una (non so se l’unica) sacca di resistenza, localizzata in una realtà complessa che spesso fatichiamo tutti a decifrare e che non sempre ci lascia soddisfatti. Chi tra noi è docente da molti anni oppure genitore di figli ormai adulti, sa benissimo che di emergenza educativa si iniziò a parlare sin dal finire dello scorso secolo (quante volte mi sono rifatta a ciò che scriveva Edgar Morin negli anni Novanta? Spero di non averti troppo annoiato…). È però vero che, all’epoca, parve più ‘saggio’ non evidenziarlo, perlomeno al di fuori delle mura accademiche; forse nel timore di mettere troppo in luce i piccoli rumori di ferraglia rotta che si iniziavano a registrare nel ‘perfetto’ meccanismo sociale neoliberista.
Poi, però, venne la crisi economica, e poi il Covid; ad un certo punto, sembrò che i tempi fossero maturi per porre all’attenzione di tutti l’esigenza, da parte di chi ‘fa scuola’ di ripensarsi. Che non significa necessariamente gettare tutto all’aria, ma soprattutto denota l’esigenza - da parte di un non troppo sparuto, in termini percentuali, numero di professionisti - di venire considerati come parte agente e non soltanto subente (direttive, leggi e decreti altrui).
Siamo a questo punto. Anche qui.
Qualche giorno fa, su Instagram, ho sentito la necessità di ribadire (in una Storia che nemmeno ho messo in evidenza) che cosa non siano le Lettere ad un (giovane) docente. Soprattutto… una newsletter! Le Lettere ad un (giovane) docente non lo sono. Innanzitutto perché non sarei capace io, di portare avanti un progetto editoriale che abbia quelle caratteristiche: non era un ipertesto, quello che volevo creare, piuttosto un ipotesto. Volevo avere un luogo grazie al quale poter entrare in contatto diretto con altri (docenti/educatori/genitori) affinché insieme ci si potesse immergere all’interno di alcuni concetti e criteri che la realtà della scuola rischia di dare sempre per scontati.
È questo, il contenuto della mia sacca. E comprende la valutazione, la didattica disciplinare, il rapporto con le famiglie, l’autonomia, la formazione etc. A volte, anche qualcosa di ‘pronto all’uso’, ma molto più spesso un semplice pensiero che chiunque insegni o ha a che fare con i giovani (ma anche è studente!) si è posto. E al quale vorrebbe dare nuova sostanza, per crescere nella sua professione, nella sua identità e per meglio accompagnare coloro che affianca.
Nulla di più.
Spero che tu voglia continuare a resistere insieme a me.
Buona settimana ♡
Si R-esiste. Con le tue parole, in questa sacca, si esiste di nuovo
Amo la scrittura di Berger, lo sai. E anche la tua. E anche la scuola che resiste, facendo sentire che esiste.