{Questo che stai per leggere è il terzo appuntamento del mini-corso dedicato al Pensare per problemi}
Buongiorno ✤
Martedì scorso abbiamo analizzato nel dettaglio le caratteristiche che deve possedere una lezione che sappia procedere per problemi, e cioè il fatto che essa debba risultare ricca, connettiva, persistente ed interattiva. Ripensando a questi aggettivi, ho modo di osservare ancora una volta come ciò che risulta efficace per i nostri studenti è (molto spesso) ciò che è frutto di un pensiero che è stato creativo per noi insegnanti.
(che poi… ‘pensiero creativo’ è fin ridondante: ogni pensiero lo è, per definizione)
Un altro commento che faccio, a posteriori, riguarda la superficialità con la quale molta editoria scolastica liquida i cosiddetti compiti di realtà. Ricordo che, durante una masterclass su Linguaggio narrativo e Linguaggio argomentativo, emerse lo stesso problema: è sufficiente predisporre un esercizio che chieda l’area di un giardino e non l’area di un rettangolo per qualificarlo come ‘compito di realtà’? Evidentemente no, poiché l’attinenza alla sfera dell’esperienza non deriva dalla proposta di oggetti più o meno conosciuti, ma è frutto di una precedente manipolazione degli stessi. Un quadrato può quindi essere più ‘reale’ del banco, a patto che esso sia stato trattato - all’interno della comunità ermeneutica che è la classe - in tutte le sue possibili declinazioni e da ogni punto di vista. Di qui, la ricchezza, connettività, persistenza ed interattività degli oggetti di studio, nonché l’efficacia dell’apprendimento.
Insomma, ce lo sentiamo dire da anni, lo ripetiamo anche noi con convinzione, ma progettare una didattica che sia - in ogni suo aspetto e tempo - per problemi è l’unica risorsa che possa condurre ad apprendimenti duraturi e sensati.
Oggi mi vorrei concentrare sul contesto all’interno del quale si svolge l’apprendimento, in modo da ulteriormente esplicitare le caratteristiche di un compito di realtà.
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