Buongiorno ♡
In questi giorni sto ultimando i materiali che, dall’inizio di maggio fino alla fine del mese di agosto, andranno a costituire l’impianto della nuova Stanza di Valore, la n.8: Identità&Destino.
[se non te ne avessi mai parlato, le Stanze di Valore sono i miei percorsi di mentoring e formazione, che puoi seguire in asincrono e secondo i tuoi tempi! (fine momento autocelebrativo e pubblicitario… 😊)]
❃ se poi sei un insegnante di scuola superiore, di qualsiasi disciplina, e ti interessa approfondire una prospettiva inedita (basata sullo studio di tutto ciò che è linguaggio simbolico e di ciò che si può definire opera individuale), che possa risultarti utile ad affrontare il prossimo anno scolastico, per quanto riguarda le ore da dedicare all’orientamento, rispondi a questa e-mail e ti invierò la scheda descrittiva del percorso ❃
E poi… mentre dunque sto ultimando nella mia testa i materiali del corso, mi accade di ascoltare un intervento nell’auditorium di scuola, destinato ai ‘miei’ di seconda, da parte dell’autrice Sara Rattaro. E una delle cose che mi colpiscono di più (dopo averla sentita raccontare di Fernanda Wittgens e della bellezza che è sempre da salvare, anche se non è quella di un’opera d’arte) è l’invito che sento rivolgere ai ragazzi e alle ragazze:
“non dimenticate che siete voi stessi un capolavoro da costruire e da salvare!”
Mentre ero seduta sugli scalini dell’auditorium, pensavo a quante volte - qui sulle Lettere ed in particolare, in occasione dei ‘nostri’ venerdì - ci siamo confrontati (*) su quella che è la narrazione di sé.
Cosa che ha sempre molto a che fare con il metodo ‘inventato’ da Paul Ricœur, del quale ti parlavo martedì, qui ↓
(*) ho scritto “ci siamo confrontati” pensando alle belle riflessioni che ricevo in risposta, ogni volta, e che fortunatamente rendono poco soliloqui questi momenti!
Credo che, nel momento in cui ci disponiamo a progettare i percorsi orientativi, non dovremmo mai dimenticare la portata immaginifica del cosiddetto Sé narrativo (narrative self). Si tratta di una metafora per definire il Sé che ormai è ampiamente accettata e che attrae il mio interesse da una ventina d’anni.
Da dove origina questa metafora e che risorse può offrire alla scuola?
Il tratto originario del Sé narrativo si può ascrivere ad un altro ‘mostro sacro’ della filosofia novecentesca: Hannah Arendt. Nel 1958, in Vita activa, scrive (traduzione mia):
“L’azione e il discorso sono strettamente correlati poiché l’atto primigenio e peculiare dell’essere umano deve consistere nella risposta che si dà a chiunque incontriamo per la prima volta e a cui domandiamo: «chi sei tu?». Lo svelarsi dell’individuo è implicito sia nelle sue parole che nei fatti. [...] Il Sé si può celare soltanto nel pieno silenzio e nella passività”
Il rimando al concetto di ‘capolavoro’ - che abita nelle attuali suggestioni ministeriali e che ieri mattina ho visto emergere più volte dalle parole di Sara Rattaro - mi sembra giacere in quel binomio, di parola e atto, evocato da Arendt.
E quindi mi chiedo se e come i diciannovenni, che (magari proprio in questi giorni) sono alle prese con il loro e-portfolio, stiano intendendo il capolavoro da scegliere e discutere.
Poiché la parola con la quale traccio i confini della mia opera è già - essa stessa - opera.
Spesso ci interroghiamo sulle modalità che possiamo mettere in atto, con gli studenti, per lavorare sull’argomentazione e per favorire lo sviluppo di un pensiero critico. Penso che le azioni didattiche più efficaci si impiantino (e ben prima di giungere alla scuola secondaria!) su attività che riescano a fortificare il concetto che la parola è opera. Anche se l’opera in questione non ha nulla a che fare con l’uso di un linguaggio di tipo verbale.
Capisci perché l’incontro di ieri mattina ha destato potente risonanza in me…?
Dopo il paywall puoi scaricare uno dei materiali che ho prodotto per il percorso Identità&Destino.
(ne ho scelto uno in medias res…)
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