Buongiorno ✧
“Chi conosce ha indubbiamente un vantaggio competitivo; molti dei nostri lavori sono a rischio: creativi, autori, traduttori. Ma il nostro vero vantaggio competitivo è l’errore, l’imperfezione. E spesso dall’errore nasce l’idea, dall’errore l’originalità. Le macchine non sono progettate per sbagliare; forse nemmeno per creare”
Così si è espressa la filosofa Ilaria Gaspari durante un intervento al recente Internet Festival, a proposito di AI e del destino di quella che forse conviene iniziare a denominare HI (human intelligence!).
L’analisi offerta da Gaspari mi ha immediatamente solleticato. Non tanto per quanto riguarda il tema della conoscenza, ma ha fatto riemergere dal mio passato di biologa il concetto di vantaggio evolutivo e lo ha posto nel contesto-classe.
La mia amica Giorgia Farina (alias _@laprofdimate_ su Instagram) dice che mi diverto ad essere sempre provocatoria! Per non smentirla, nemmeno oggi, ti chiedo:
la classe è davvero l’ambito nel quale l’errore emerge come vantaggio competitivo?
Sto pensando al livello più banale di evoluzione scolastica, quello visibile nelle valutazioni che diamo dei nostri studenti. Non mi sto quindi riferendo a ciò che sappiamo essere vero, e cioè che lo studente che ha una buona familiarità con l’errore è potenzialmente disposto a cogliere molte più sfumature e possibilità dai suoi apprendimenti rispetto al compagno chiuso nella rigidità di un pregiudizio di conoscenza.
Mi sto chiedendo se la nostra didattica è costantemente indirizzata a mettere in luce - e a valorizzare - il ‘gioco con l’errore’. Se è pronta a mettersi in gioco pienamente e non solo come dichiarazione d’intenti: non penso quindi ai giudizi (magari di eccellenza) per quanto riguarda le voci dell’autonomia o della responsabilità, nei documenti valutativi; penso alle valutazioni (numeriche, nella maggioranza dei casi) delle singole discipline.
Quindi, sì… sto ancora parlando di valutazione.
Ripropongo le parole di Formenti e Gamelli, sulle quali sempre invito a riflettere durante le formazioni:
“Il futuro si delinea all’insegna della flessibilità. Per i prossimi adulti sarà difficile, quantomeno professionalmente, mantenere la stessa identità per tutta la vita. Il compito formativo sotteso a questo prossimo scenario ha molto a che vedere con l’offerta di momenti in cui imparare a guardarsi, nel senso di ripensarsi, ricordarsi di sé, interrogarsi sul proprio vissuto, fare progetti”
Lo sappiamo benissimo, che lo strumento migliore - più versatile ed efficace - che stiamo consegnando in mano ai nostri studenti mentre facciamo lezione è il metodo, attraverso il quale il nostro singolo linguaggio disciplinare tenta di adattarsi alla realtà e prova a formulare ipotesi su di essa.
Tuttavia, credo che la qualità della comunicazione in quest’area sia molto scarsa.
Perché la comunicazione è il guscio esterno di quel frutto complesso che si chiama valutazione, il cui nocciolo è costituito dalla misurazione.
Avevo iniziato a parlarne qui:
[Ti ricordo che se sottoscrivi un qualsiasi abbonamento, puoi accedere a tutte le formazioni sostenibili del martedì, e quindi anche a quella che avevo dedicato alla valutazione, nel mese di aprile]
La comunicazione non è altro rispetto alla valutazione: è l’interfaccia mediante la quale entriamo in relazione con la sfera dello studente (e della sua famiglia).
E perciò, tornando a noi, la comunicazione nella quale abito - insieme ai miei studenti, alle loro famiglie e alla mia disciplina - è coerente rispetto al concetto di errore?
Ciò che so essere vero è anche ciò che comunico? E quindi ciò che valuto?
Perché quella ‘cosa’ del vantaggio competitivo mi urla un po’ nelle orecchie, devo confessarlo, e mi scuote anche parecchio.
Spesso trovo stridenti tra loro (il mio nuovo gioco sono le allitterazioni, lo hai capito!) il giudizio che comunichiamo alla famiglia di X sulla capacità che ha X di lavorare sull’errore, di interagire con noi per chiederci delucidazioni sul metodo etc, e la scarna valutazione che di X poi offriamo nel documento di valutazione periodico.
Perché è un problema di valutazione, infatti!
In quello spazio che io ho voluto chiamare di silenzio o di eccedenza, trova posto la misurazione della familiarità con l’errore che hanno i nostri studenti? E sì, non ho utilizzato a sproposito il termine ‘misurazione’. Voglio affermare che la familiarità di X con l’errore, la sua capacità di accoglierlo nella propria storia di apprendimento, rivoltarlo e rivederlo, dobbiamo farlo diventare misurabile.
Altrimenti ci saremo fermati a metà (o anche prima), avremo lasciato nel non-detto l’aspetto più importante dell’apprendimento, avremo comunicato male, avremo orientato male.
Di tutto ciò ho iniziato qualche tempo fa ad occuparmi. Ti lascio qui sotto la possibilità di leggere le mie osservazioni iniziali in tema di valutazione, di una valutazione che sia finalmente terreno e linguaggio comune tra scuola e famiglia.
Per quanto riguarda il mio ruolo in classe, essermene occupata significa aver modificato la mia azione didattica, aver agito sulla richiesta nel corso delle verifiche, aver ampliato enormemente l’ambito della misurazione.
Anche perché, se le parole di Gaspari sono veritiere, l’errore è vantaggio competitivo anche per noi, i docenti!
Ti ricordo che sto organizzando la masterclass sulla valutazione! Se vuoi partecipare, rispondi semplicemente a questa email e ti illustrerò le modalità alle quali sto pensando.
Buona settimana e buon lavoro!