Γένοἰ οἷος ἐσσὶ
(“Diventa chi sei”, Pindaro)
Buon venerdì ♡
Oggi torno all’antico e sospendo il podcast, anche se - tutto sommato - mi accorgo che il punto di luce è ancora lo stesso.
Non avevo trovato titolo più efficace di Come siamo diventati umani, quando avevo deciso (nel 2020) di provare ad integrare i miei studi in neurobiologia con il desiderio di rendere più ‘umana’ la mia professione.
Rendere più umano l’insegnamento non significa affatto (ne parlavo un paio di giorni fa con Simona Sessini, mentre eravamo ospiti entrambe di Sabina Eleonori, responsabile dell’ambito-scuola di Terre di mezzo) arrendersi al detestabile buonismo che proverebbe ad invocare buoni voti per tutti (anzi, probabilmente no voti per tutti!), una didattica settata sui livelli minimi, il tutto nella (fallace, falsa… falsissima) speranza di sostituire l’ansia con l’interesse e di ridestare l’affezione alla scuola da parte degli studenti ‘grandicelli’.
Già lunedì ero tornata sulla questione antropologica dell’educazione; non temo di ribadire oggi il concetto.
Dipendono dall’idea di “umano” che possediamo (in quanto persone, non in qualità di docenti) lo stile e la proiezione che saremo in grado di assegnare alle nostre azioni didattiche.
In altre parole: le scelte professionali che compiamo, le più banali e quotidiane, dicono tutte l’orizzonte che abbiamo in mente per i nostri studenti. Né più, né meno.
Fa paura, questo? Certamente.
È scomodo da dirsi e da ascoltare? Altrettanto.
Non mi sembra, tuttavia, la ragione (o la scusa) per dimenticarlo. O per rifletterci, nel caso in cui fosse la prima volta che lo leggiamo o lo ascoltiamo in tutta la sua crudezza.
Anche se avevo abbondantemente oltrepassato il “mezzo del cammin” della mia vita di insegnante - probabilmente con la complicità di un lockdown che, da assoluta privilegiata, ricordo come uno dei periodi più intensamente creativi della mia esistenza - nel marzo 2020 mi parve che il percorso evoluzionistico che condusse all’origine del linguaggio simbolico (ben prima dell’avvento di H. sapiens!) avesse molto in comune con il percorso che, ogni giorno, io andavo cesellando in classe per i miei studenti.
se ti interessa quello che avevo scritto allora, potresti considerare di abbonarti alle Lettere… Il podcast è infatti, da qualche settimana, l’audiolibro a tutti gli effetti!
Ed è proprio perché si tratta di scelte professionali tutto sommato infime (“quale attività propongo, oggi?”, “come la strutturo la prossima verifica?”, “questo argomento mi arrischio ad anticiparlo?”) che oso proporre quel paragone di cui sopra.
La mia formazione è - perlomeno fu, originariamente - scientifica; all’interno dell’area biologica sono sempre stata affascinata dagli studi che potevo traslare in altri terreni. Nel caso delle origini del linguaggio, il terreno altro è - in modo chiarissimo, per me - la pedagogia.
In quell’occasione - cioè durante la stesura del saggio - la questione antropologica dell’educazione fu per me ancor più evidente, appunto. Era come se gli studi sull’Uomo che avevo intrapreso trovassero una loro metafora nel terreno educativo-pedagogico che avevo scelto di arare. Affondare tanto in profondità nei dettagli evoluzionistici del proprio dell’Uomo (la sua capacità simbolica) mi permetteva di (ri)dare senso e significato a ciò che rendevo azione, in classe.
Capivo che le ragioni e la tensione che erano alla base della mia attività educativa e didattica avevano come unico scopo quello di far ripercorrere e rendere esperienza per i miei studenti le ragioni del loro essere uomini e donne.
Che cosa significa essere consapevoli della dimensione antropologica del proprio modo di essere docente?
Significa sapere esattamente a che punto dello sviluppo - emozionale e cognitivo - si trovano gli studenti che abbiamo in classe (l’avverbio “esattamente” vive di quell’illusione, folle ma buona, che è propria di ogni insegnante, è ovvio!)
Significa conoscere gli anfratti e i fiumi sotterranei di cui è fatta la nostra disciplina, in modo da sapere dove nascondersi e dove riposare, durante l’anno, quando sembrerà che ogni nostro tentativo sia destinato a fallire
Significa sapere come e quanto avvicinarsi ad ognuno
Significa individuare degli obiettivi personalizzati per ognuno, basandosi sulla certezza che cuore e mente possono anche non procedere sempre sullo stesso ritmo per tutti, ma desiderano nello stesso modo
Posso quindi affermare che DOVE voglio portare i miei studenti, in definitiva, è dove sono sempre stati (se non loro, l’umanità che possiedono).
Il punto 3 del breve elenco che ti ho proposto qualche riga sopra è quello che più esplicitamente dichiara la dimensione relazionale dell’insegnamento. Sul tentativo di dimostrare come (anche) la nostra professione sia una professione di cura ho scritto moltissime volte. Ad esempio nel percorso che iniziava qui:
Oggi voglio guidarti lungo una riflessione che, partendo dal concetto di RELAZIONE, porta a sconfiggere definitivamente uno dei grandi nemici dei docenti: il tempo!
Se ti interessa, puoi seguirmi nelle prossime righe…
Il percorso continua per gli abbonati sotto il paywall.
Puoi abbonarti ma lo sai che puoi anche leggere pur non avendo sottoscritto alcun abbonamento (magari vuoi farti un’idea…)? È sufficiente che tu clicchi il bottone qui sotto e il sistema ti guiderà!
Continua a leggere con una prova gratuita di 7 giorni
Iscriviti a Lettere ad un (giovane) docente per continuare a leggere questo post e ottenere 7 giorni di accesso gratuito agli archivi completi dei post.