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{Stai per leggere il primo appuntamento (di una serie di quattro, uno ogni martedì) del secondo mini-corso di quella ‘formazione sostenibile’ che desidero siano le Stanze di Valore, qui sulle Lettere. Se sei abbonato alla newsletter (sia in forma mensile che annuale), potrai accedere al materiale completo di oggi (oltre che all’intero archivio di Lettere ad un (giovane) docente e ai post del venerdì di Visioni, all’interno dei quali si sta costruendo un’antologia per l’orientamento, liberamente utilizzabile}
Buongiorno!
Questo di oggi ed i prossimi tre appuntamenti del martedì saranno dedicati a ciò che significa ‘prendersi cura di sé’. Ho pensato che, in questo mese di maggio bersagliato da incombenze, attese ed anche preoccupazioni, sarebbe stato interessante (e perché no?... utile!) dedicare un po’ di tempo ad alcune riflessioni sul tema della cura. È un universo che mi sta molto a cuore, come dimostra anche quello che scrivevo un paio di giorni fa su Kairos.
È giusto parlare della dimensione della cura quando pensiamo alla relazione docente-studente - poiché sono impliciti i concetti indispensabili di rispetto e riconoscimento - ma ritengo che una modalità ‘sana’ di avvicinarsi a questa relazione nasce dall’avere instaurato un proficuo rapporto con il Sé. Per questo motivo non qualifico come ‘modaiolo’ il dedicarsi ad approfondire il significato della cura di sé ed il perseguirne l’orizzonte.
Il metodo che utilizzerò - perché è quello che mi è più congeniale (e che perciò affermo senza timore sia il più efficace!) - sarà un avvicinamento filosofico alla questione: ti proporrò l’analisi di alcuni termini, di brani che hanno lasciato traccia di sé nella storia del pensiero; osserveremo quello sguardo sulla realtà che, in periodi storici definiti, è stato l’ossatura della percezione di sé.
Lo scopo non è didascalico né enciclopedico, non gioverebbe né a me né a te. Vorrei invece chiarire una direzione che, se riterrai corrispondente a te, potrai esplorare anche in modo autonomo. Parafrasando ciò che scrivevo a proposito di orientamento, sempre in questo luogo, il prendersi cura di sé non è una destinazione né tantomeno un destino, ma è semplicemente - e drammaticamente - una direzione.
Sapere prendersi cura di sé non è una pratica intimistica da intendersi come un allontanamento dal mondo; è invece un costante interrogarsi, riguardo al mondo, appunto, alle relazioni e alle esperienze. Prendersi cura di chi siamo significa imparare a distinguere le esperienze che erodono dall’interno da quelle che invece nutrono l’animo.
“L’uomo è ignoto a se stesso. E perché possa conoscersi ha bisogno del costante esercizio di ritirarsi dall’uso dei sensi, di raccogliersi e di concentrare la mente in se stesso”
(Agostino, De ordine, I, 1.2)
È nella sostanza del tempo - quale attributo essenziale dell’esistenza - che la cura sfocia nell’agire etico, della relazione con un altro da sé. Infatti, la sollecitazione ad aver cura di sé è opera dell’azione educativa, come enunciato da Socrate nell’Apologia. Commovente è definire l’educazione una ‘pratica di cura’: επιμέλεια è infatti il termine che indica quell’aver cura che coltiva l’essere per farlo fiorire.
Saper prendersi cura di sé assume i contorni della declinazione epimeletica dell’educazione, la più ‘alta’ modalità con la quale decidiamo di assumerci la responsabilità di noi stessi, degli altri e del mondo.
Direi che possiamo iniziare, a questo punto!
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