Facciamo un esperimento?
Perché del fare ESPERIENZA abbiamo bisogno di capirci qualcosa di più
Buongiorno a te e buon inizio di settimana! ♡
[sì, è tanto tempo che non ti scrivo. Il mese di febbraio - che descrivevo come il mio mese del ♥ da sempre - mi ha riservato qualche brutta sorpresa a livello di salute. Tra la preoccupazione e la necessità di ‘fare silenzio’, ho sentito il bisogno di allontanarmi per un po’.
PS Ovviamente ho prolungato di 3 settimane la durata dell’abbonamento annuale per tutti coloro che lo hanno sottoscritto!]
Non dimentico che devo ancora pubblicare il quarto e ultimo appuntamento della serie “La responsabilità dell’educare”, che era iniziata con questa puntata; oggi, però, ho voglia di dedicarmi ad una riflessione che ci coinvolge tutti, come persone ancor prima che educatori/insegnanti/genitori.
Il tema è quello (vastissimo) dell’esperienza.
Ovvero: che cosa intendiamo quando pensiamo ad un’esperienza che abbiamo compiuto oppure che desideriamo gli altri (i nostri studenti, i nostri figli) compiano?
Io vengo - a livello di esperienza formativa - da un ambito nel quale la dimensione sperimentale è rilevante (quello dei laboratori di ricerca); spesso ho raccontato di avere tuttavia trovato una piena aderenza alla pratica della ricerca soltanto iniziando ad insegnare. La figura del docente ricercatore mi corrisponde appieno: lo studio, l’apertura alla complessità, la progettazione della fase sperimentale (alias le attività da proporre in classe o ai singoli studenti), l’analisi dei risultati, la stesura di un abbozzo di conclusione. Del resto, le Lettere ad un (giovane) docente vogliono ricalcare appunto una metodologia sperimentale declinata al terreno dell’educazione.
Eppure, le caratteristiche e i confini del terreno che genericamente chiamiamo “esperienza” sono tutt'altro che evidenti.
Partiamo allora con una domanda: che genere di sperimentatore sei?
Come rispondi all’incertezza?
ti getti a capofitto nell’azione?
preferisci dapprincipio analizzare la situazione nei dettagli?
il tempo, lo dedichi ad immaginare tutti i possibili scenari risultanti?
Riflettici: ognuno di noi è preferenzialmente (a), (b) o (c) (io, ad esempio, sono sicuramente un (c) !)
Nel cuore di tutti gli approcci sperimentali - anche alla vita, intesa come sperimentazione, quindi - possiamo rinvenire quattro distinte fasi, che si realizzano sempre tutte in ciò che possiamo definire “esperienza”, ma la durata delle quali varia da sperimentatore a sperimentatore.
Vogliamo scoprirle insieme?
(ringrazio il lavoro meraviglioso che svolge Anne-Laure Le Cunff, il cui Tiny experiments sta per essere pubblicato. Lo schema sottostante è della stessa autrice)
Viene definito anche MODELLO P.A.R.I.
P ➤ si tratta della fase immaginativa, il momento nel quale scegliamo l’ipotesi che vorremmo testare [ehi! ma è la mia!!]. PACT come patto finzionale, quello che decidiamo di contrarre con la realtà.
Le Cunff afferma che gli sperimentatori che si sentono a loro agio in tale distretto tendono a vedere possibilità che spesso gli altri perdono di vista: hanno molteplici idee che ribollono in testa contemporaneamente. Il loro limite? Fare fatica nel trasformare l’immaginazione in azione [ehi… sono decisamente io! 😩]
A ➤ è il momento dell’agire, è la fase nella quale si conduce fattivamente l’esperimento e si raccolgono i dati.
Ti ritrovi nella fase ACT? Sei decisamente una persona che porta a termine i suoi propositi! Il rischio degli sperimentatori “A” è che, appunto per arrivare il più rapidamente possibile all’azione, a volte tralasciano un’osservazione accurata della situazione iniziale e tendono a sottovalutarne alcuni elementi.
R ➤ è la vera e propria fase metacognitiva, quella nella quale si riflette sui risultati ottenuti, analizzandoli. Se ti senti principalmente rappresentato dalla fase REACT, si può dire che navigare l’incertezza è, per te, un gioco molto gradevole! I contro…? Overthinking, rimuginazioni… insomma la difficoltà a staccare la mente dalle innumerevoli possibilità di spiegazione di un certo dato sperimentale.
I ➤ IMPACT è la fase della condivisione con altri, quella in cui decidiamo di mettere a disposizione ‘del mondo’ ciò che abbiamo scoperto o imparato. Il rischio di concentrarsi eccessivamente su questa fase è un po’ quello - perdona l’espressione - di considerarsi come il genio solitario, salvatore dell’umanità!
Dai, adesso dimmi… quale fase ti risuona maggiormente???
Un abbraccio e buona settimana a te ♡