Buongiorno ♡
Oggi ti scrivo assaporando la lentezza delle giornate che si avviano alla fine del mese di luglio, quando ho il privilegio di potermi alzare (riposata!) alle 6 e fare una lunga passeggiata nella campagna con il mio “gigante buono”, quel goffo cucciolo di 23 kg che deve ancora imparare a gestire la sua stazza nella sua relazione con gli altri, bi- e quadrupedi.

[però sappi che ti abbraccio, se invece in questo tempo caldo stai navigando in acque incerte, disorientato per i mille eventi storti della vita. Ti abbraccio davvero.]
Ho letto questo articolo, bellissimo.
“[...] il desiderio si muove nel rizoma, cresce nella relazione, si espande in tutte le direzioni. È vivo solo quando non è ingabbiato.
Ma proprio per questo è così fragile a scuola. Perché costruire un rizoma richiede condizioni particolari. E il rischio è grande: basta poco perché questo rizoma diventi un albero. Una struttura gerarchica, verticale e ordinata. E, in quel passaggio da rizoma ad albero, come dicono gli stessi autori, il desiderio muore.”
Ed è sempre nello stesso articolo, che l’autore - Fabrizio Gesuelli, docente nella scuola secondaria di primo grado - assegna alla presenza necessaria di uno spazio vuoto la possibilità che lo studio, le attività didattiche, la scuola in toto si facciano esperienza ed evento.
Chi deve garantire una tale assenza presente è il docente.
Lo fa attraverso le sue scelte di programmazione, di stile didattico, di coinvolgimento nella relazione; ed è attraverso - e grazie a - tali scelte che quello spazio vuoto che ha voluto creare tra sé e il suo studente prende a colmarsi. In un processo senza fine, illimitato perché è illimitato il terreno che la decisione del docente ha voluto si potesse creare.
La morte della didattica trasmissiva accade tutta qui. In una mossa a ritroso di chi è ‘maestro’ non perché possieda il sapere nella sua incolmabile interezza ma perché possiede alcune chiavi per investigarlo. E di tali chiavi vuole fare dono ai suoi studenti.
Mi sono ricordata di una vecchia cosa che avevo scritto molto tempo fa, proprio qui. E che mi motiva la grande risonanza che ho percepito nei confronti delle parole di Gesuelli.
Allora scrivevo dello spazio da cui origina la valutazione; anche nel mio caso si trattava di uno spazio - per così dire - al negativo, di un ‘vuoto’ lasciato tra il docente e lo studente. Lo avevo chiamato “l’eccedenza”.
L'eccedenza
Ciao! Spero che tu abbia trascorso la giornata di ieri riposando e coltivando gli affetti.
Mi fa bene, in questo tempo lento, pensare al vuoto che sempre ci colma.
Adesso ti saluto, se vuoi scrivermi per commentare oppure per semplicemente salutare, sappi che ti aspetto ♡
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Che splendida immagine dello spazio vuoto per raccontare la relazione tra docente e studenti ✨