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Buongiorno e buona settimana a te.
Oggi voglio concludere la riflessione che avevo iniziato lunedì scorso, all’interno della quale avevo posto sotto la luce dell’investigatore il concetto di promessa. Mi perdonerai se cito il passo a cui sto facendo riferimento:
Questa osservazione mi ha portato quindi a leggere il nostro ruolo di professionisti dell’orientamento come il ruolo di coloro che devono portare gli studenti a prendere un impegno ad agire. Ma questo può avvenire solo se il luogo e il tempo dell’azione - il futuro - vengono letti dal soggetto in termini di ‘possibilità di promessa’, appunto. Il destinatario di questa promessa coincide con il suo beneficiario: è il ragazzo stesso. Quando uno studente sceglie (e sceglie per sé e non per altri), sta facendo una promessa a se stesso, della quale egli stesso trarrà il principale beneficio. Dobbiamo perciò guidare i ragazzi a fare esperienza della loro vita affinché locutore, destinatario e beneficiario di tale promessa siano tutti riassunti in un’unica persona: lo studente che sta scegliendo per il suo futuro.
In settimana, poi, la mia amica, collega e straordinaria ‘pensatrice’ Elena (è @elen_cali su Instagram, se non la conosci) ha scovato un frammento tratto da un’intervista a Stefania Andreoli, che mi sembra possa contribuire a saldare le fondamenta di ciò che vado affermando. Ti riporto di seguito le parole di Andreoli:
“[…] la loro domanda d’aiuto più che terapeutica è esistenziale, filosofica. Chiedono come si faccia a diventare Sé in un mondo di soli genitori e non più di testimoni e Maestri. Si interrogano sul senso, sui significati, sulle priorità. Oggi per stare al cospetto dei giovani adulti occorre essere molto adulti, altrimenti risulta davvero difficile fare i conti con il carattere fondante e spesso faticoso delle questioni importanti per loro”
Siamo arrivati al punto: servono testimoni.
Una volta, li chiamavamo (nella scuola ma non solo) semplicemente ‘maestri’; oggi spesso il termine viene letto come troppo reazionario, poco egualitario, e si preferisce sostituirlo con qualcosa di più innocuo e vago. E non si prende posizione.
Perché la posizione dell’adulto autorevole - e quindi del docente - è quella della testimonianza. La quale agisce proprio da contraltare rispetto alla promessa di cui dicevo la scorsa settimana: quella promessa che è - per i soggetti che sono i nostri giovani e giovanissimi - sia immagine del futuro che dobbiamo indurre a prefigurare, sia azione (che sancisce un impegno) che dobbiamo accompagnare ad esercitare.
In che senso promessa e testimonianza costituiscono un’unica realtà?
Ne scrisse (ovviamente!) anche Ricoeur, ma oggi vorrei citare le parole di un altro monstre sacré della filosofia francese contemporanea, Michel Foucault:
“Solo quando tutti i racconti a metà (quello del dio Apollo e del suo indovino Tiresia, quello di Edipo e di Giocasta, quello dello schiavo di Corinto e del pastore del monte Citerone) riescono a riunirsi, ad accoppiarsi, si ricostituisce il profilo completo della storia”
(M. Foucault, La verità e le forme giuridiche, 2008)
[molte volte mi hai sentito parlare o scrivere di ‘narratività’ quale strumento per porre chiarezza in un oggetto confuso, che esso sia l’esistenza (vedi i percorsi di orientamento) oppure un concetto di matematica (vedi le riflessioni sull’applicazione del pensiero narrativo alle realtà logiche). Puoi ben immaginare come quella affermazione di Foucault sia andata a trovare posto nel profondo del mio essere…]
Il testimone riveste i fatti con le parole.
Egli dichiara e - di più! - garantisce ciò che dichiara. “Nessuno testimonia per il testimone” scriveva altrove Paul Celan.
Quindi… nessuno può sostituire la tua esperienza e il racconto in classe che ne fai
Intendo con questo riferirmi sia al livello-base di un’esperienza, sia il livello meta-esperienziale, cioè la riflessione su ciò che è accaduto. Quando davanti ai tuoi studenti spieghi un concetto o un argomento, tu stai inevitabilmente raccontando ‘la tua metà della storia’: la storia delle parole che ti hanno permesso di comprendere, delle metafore che hanno costellato quella strada di comprensione, delle persone che l’hanno resa possibile.
La tua memoria - di eventi e parole - sancisce la dichiarazione che compi davanti a loro.
E la seconda parte della storia, allora, qual è?
Per capirlo, dobbiamo tornare al principio di questa lunga riflessione e riprendere quanto ti scrivevo la scorsa settimana. Quando tu agisci testimoniando, il tuo studente - di riflesso, potremmo quasi dire - agisce muovendosi verso quella stessa realtà, leggendola come una promessa. La voce sarà la sua e le parole saranno le sue, ma avrete - insieme - ricomposto il profilo completo della storia.
E, soprattutto, lui o lei avrà una direzione lungo la quale muoversi.
Buona settimana! (ps maggio sta quasi finendo, dai!)
Simona