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Buongiorno e buona settimana!
Qualche giorno fa, in seguito al mio incontro con alcune classi seconde del primo grado, ho avuto la conferma che ciò di cui hanno bisogno i preadolescenti (per evitare che ne abbiano bisogno da adolescenti, poi!) è l’affermazione di una possibilità di futuro.
In molte occasioni ho fatto riferimento, in quello che scrivo, alla necessità di prenderci carico - in quanto docenti, educatori, adulti - dello smarrimento degli studenti davanti ad un futuro che appare come una minaccia e non una promessa. Pensatori autorevoli (Galimberti e Benasayag, tanto per citarne due dei più recenti) hanno individuato nella visione che hanno i giovani del ‘futuro-minaccia’ la radice delle conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti: disagio, disaffezione, inerzia, immobilità.
Sono andata perciò a riprendere i lavori di un filosofo che amo molto (e che ha profondamente segnato il mio percorso di ricerca), Paul Ricoeur. In particolare, l’analisi che egli compì riguardo al tema del riconoscimento - che, se ricordi, era stato un punto di approdo cruciale durante il percorso sulla valutazione (vedi #0, #1, #2, #3 e #4) - mi ha fornito, in questi giorni, una possibile chiave interpretativa sulla quale imbastire un nuovo percorso di riflessione.
Ricoeur sottolinea come la promessa rechi in sé un fondante aspetto fiduciario: la sua grandezza è contrassegnata dalla propria affidabilità. Dal punto di vista linguistico (che delizia…!), Ricoeur evidenzia inoltre che la promessa appartiene a quella categoria di atti performativi segnalati da verbi facili a riconoscersi, poiché essi sanciscono l’impegno del locutore ad agire. Questa osservazione mi ha portato quindi a leggere il nostro ruolo di professionisti dell’orientamento come il ruolo di coloro che devono portare gli studenti a prendere un impegno ad agire. Ma questo può avvenire solo se il luogo e il tempo dell’azione - il futuro - vengono letti dal soggetto in termini di ‘possibilità di promessa’, appunto.
Il destinatario di questa promessa coincide con il suo beneficiario: è il ragazzo stesso. Quando uno studente sceglie (e sceglie per sé e non per altri), sta facendo una promessa a se stesso, della quale egli stesso trarrà il principale beneficio.
Dobbiamo perciò guidare i ragazzi a fare esperienza della loro vita affinché locutore, destinatario e beneficiario di tale promessa siano tutti riassunti in un’unica persona: lo studente che sta scegliendo per il suo futuro.
È quando quei tre frammenti si ricompongono nel soggetto che costui diventa capace (altro termine tanto caro a Ricoeur) di agire. La conseguenza immensa di tale ricomposizione diventa allora la capacità di mantenere una identità. Nonostante tutto. Nonostante gli eventi, nonostante la vita. Nonostante tutto ciò che renderebbe inclini a tradire la parola data. Chiameremo questa - che diventa una predisposizione dell’animo - ‘semplicemente’ fedeltà.
Vi è tuttavia un’altra azione che un soggetto può compiere e che condivide con la promessa le medesime caratteristiche. Un’azione, questa volta, che si svolge nel terreno dell’adulto educatore…
Ma te ne parlerò lunedì prossimo (mi sembra di averti ‘filosoficamente appesantito’ fin troppo l’inizio di settimana!).
Buoni pensieri a te.
Simona