“Tale bisogno, i cui contorni sfumano, e che tale può restare per il resto dell’esistenza come una presenza incompiuta, ricorsiva, insistente, è ciò che prende il nome di pensiero autobiografico”
(D. Demetrio, Raccontarsi, 1996)
Buon venerdì e buon inizio per tutti coloro che, come me, hanno oggi il primo collegio docenti ✰
Sicuramente Duccio Demetrio è una presenza rilevante nel mio lavoro di riflessione sulla narrazione nella scuola. Tutti i suoi testi, benché non esplicitamente rivolti al mondo dell’istruzione (eccetto il ben noto Educare è narrare), sono fatti per essere letti e tradotti all’interno della nostra realtà. E non intendo soltanto quella della scuola primaria o, per gentile concessione, della secondaria di primo grado.
NarrarSI è un’azione che si compie anche senza parole, muti alle forme più diffuse; si può mettere in ordine i dati del Sé - perché proprio questa è la funzione di ogni atto narrativo - utilizzando qualsiasi disciplina come terreno di prova.
Nel corso degli incontri con gli studenti, metto sempre in evidenza come comunicare se stessi sia un privilegio, prima ancora che un diritto oppure un dovere. In alcuni dei nostri giovani, osserviamo un’urgenza a dirsi (con una poesia, un commento di Antologia, un’osservazione in Scienze, una tavola di Arte), per altri è come se udissimo un lieve borbottio, indice dell’emergere di una consapevolezza. La sfida più alta che possiamo porci è proprio il dimostrare ad ognuno di loro innanzitutto l’inevitabilità dell’essere animali sociali, e di conseguenza l’esigenza di dirsi.
L’esperienza mi riferisce, purtroppo, che la comunicazione penetra nel mondo dei giovani - se e quando lo fa - più spesso come strumento di potere che non come occasione di rischiaramento. Ed infatti, assumendo prevalentemente l’aspetto di un’arma, essa non riesce a staccarsi dall’essere puro elenco di fatti, il cui ordine di rilevanza è sancito da altri. Qualche giorno fa scrivevo della spettacolarizzazione alla quale assistiamo, oggi, anche in luoghi della comunicazione che dovrebbero essere gestiti altrimenti. Penso basti scorrere con lo sguardo ciò che ci propone Google News, ogni giorno!
Dobbiamo educarli noi - noi e le famiglie - a scorgere altro, nel possibile racconto del mondo (interiore ed esteriore) al quale siamo chiamati. In realtà, più che ‘possibile’ è corretto definirlo, come scrivevo in esordio, ‘inevitabile’; ma se non possiamo scegliere di farlo, possiamo tuttavia decidere come farlo.
E in questa decisione abita tutta l’essenza della propria identità e della comprensione che potremo avere della realtà.
Ho scritto la Guida di “Alla scoperta di… me” - come spesso ho raccontato - in modo che apparisse come una lunga arringa a favore di un luogo che riesce ad essere orientativo se è scuola narrativa, o narrante che dir si voglia.
Nella Prefazione e nell’Indice che ti allego qui sotto, osserverai come narrazione e direzione costituiscono i due poli di un’argomentazione unica.
Ecco. Io credo che le difficoltà (spesso enormi) che in classe riscontriamo nell’argomentare siano dovute (anche? soprattutto? sinceramente non saprei…) ad una disabitudine completa ad esercitare le narrazioni per quello che veramente significano.
Una delle attività più splendenti che svolgo in classe è lavorare sulle dimostrazioni matematiche come esempio di narrazioni… Lo sai quello che distingue ognuna delle decine e decine di dimostrazioni del teorema di Pitagora, ad esempio? Lo stile. Appunto. Non è spettacolo (già lo sappiamo, come andrà a finire… a2+b2=c2!), è racconto.
Oggi vorrei regalarti un mio vecchissimo (è del 2009!) articolo sulle possibilità del creare testo, durante la nostra attività in classe.
Lo presentai durante un convegno ad Assisi e poi venne pubblicato su Scuola e Didattica. Quanto tempo… Ma non ho più smesso di lavorarci, in questi ultimi quindici anni… È un po’ come guardare una vecchia fotografia.
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