Buon lunedì (e buon anno a tutti coloro che hanno già rimesso piede nelle scuole) ❉
Avrei voluto scrivere di altro, delle riflessioni che mi sta suscitando la rilettura di Memorie di Adriano (e che mi sta dando l’idea per una nuova pubblicazione, di cui ti parlerò a breve). Sarà per la prossima volta.
Ieri, mentre scrivevo le Frasi alla Lavagna per la newsletter Gessetti, ho deciso che cosa proporrò venerdì, durante il mio primo collegio docenti dell’anno scolastico. Terrò quindi fede alla mia indole velatamente rivoluzionaria, un po’ irriverente, e spiegherò perché vorrei che l’insegnamento dell’Educazione Civica (in tutte le classi della secondaria di 1° grado) dedicasse del tempo a sviluppare attività e riflessioni attinenti al significato di rispetto.
“Rispetta i compagni, il tuo e loro desiderio di imparare” non mi basta più.
Né mi basta che la ‘vecchia’ Cittadinanza e Costituzione sia stata rimessa a nuovo da una denominazione inedita ma che, nella sua essenza, sia ancora faccenda - nei toni e nei temi - assegnata al docente di Storia. Che fa un grandissimo lavoro e che merita di essere sostenuto da tutti, non semplicemente in termini di ‘donazione di ore’ ma di necessaria e sacrosanta riflessione su quale orizzonte vogliamo dare ai nostri studenti. E di conseguenza alla nostra società democratica.
Vorrei che, all’interno del mio collegio docenti (questa è quindi un’anticipazione per i miei colleghi!), fosse progettato un percorso che aiuti gli studenti a distinguere due aree: l’area dello spectare e quella del respectare.
È interessante che il mio correttore grammaticale mi stia suggerendo di sostituire il primo verbo con il termine ‘spettacolo’ e il secondo con ‘rispetto’. Non so se sia una ennesima manifestazione di AI, ma è proprio qui che voglio fermarmi a ragionare.
La differenza tra spectare e respectare è proprio la distanza.
Ti ricordi qualche anno fa, quando alla parola ‘distanza’ associavamo le nostre frustrazioni, le stanchezze di giornate trascorse a parlare ad uno schermo e i nostri timori per una presa sui giovani che percepivamo allentarsi? Già all’epoca ricordo che proposi una masterclass bellissima (perché lo fu per me, grazie ai colleghi che vi parteciparono) sull’etica della distanza.
Nel saper allontanarsi, ritrarsi, dire “no, non ci sto” è in azione una compassione per l’altro che può essere educata.
E allora, che la prima delle distanze da prendere sia tra ciò che è pubblico e ciò che invece è privato.
➺ Sappiamo farlo sempre, noi? Sono in grado di farlo i nostri studenti?
➺ Quante e quali conseguenze possiamo analizzare, quando le due sfere giungono a coincidere?
Io trovo che vi sia un’infinità di risorse possibili da immaginare e progettare, seguendo questa linea. Si corrompe la sfera pubblica, dove il rispetto (il respectare) vien meno. La società si sgretola, la politica si riduce alla cura narcisistica del Sé, quindi scompare.
➺ Come possiamo aiutare i nostri giovani e giovanissimi a mettere dello spazio, tutto quello che serve e ogni volta che serve, tra il loro privato e ciò che è di tutti? Tra la sfera del Sé e quella dell’altro?
➺ Che cosa significa educare al pudore? (non lo intendo in termini ‘moralisteggianti’, ma mi rifaccio alla lingua tedesca, che denomina Abstand la distanza e Anstand la ‘decenza’)
➺ Come possiamo fare nostra - interna alle nostre programmazioni - la definizione di Roland Barthes1, quando afferma che “la sfera privata è quella zona di spazio, di tempo, in cui io non sono un’immagine, un oggetto”?
➺ E ancora… che cosa significa fondare una società sul rispetto?
➺ Quali esempi possiamo analizzare in classe di comunicazioni e scelte - effettuate da gruppi più o meno ampi - basate sull’ondata emotiva, che è sempre sensazionalismo scomposto?
Nel volume intitolato Nello sciame. Visioni del digitale, il filosofo contemporaneo Byung-Chul Han (te l’ho nominato molto spesso perché lo trovo di un’incredibile acutezza visiva, anzi visionaria, sul mondo postmoderno) ricorda che il primo poema epico della letteratura occidentale inizia con la parola mènin, ira. L’ira del Pelìde Achille è narrativa e non spettacolarizzante perché è generativa: produce azioni che avranno conseguenze sulla piccola comunità achea arroccata fuori dalle mura di Troia.
➺ Che cosa differenzia il canto di tale ira dalle plurime e multiformi pseudo-narrazioni ‘social’ che nascono come ondate emotive e non portano alcun esito per la società?
Mi sono divertita - come vedi - a lasciarti tante domande e nessuna risposta. Su queste domande, ho proprio intenzione di costruire qualcosa, in questo anno scolastico. Se lo farai anche tu e vorrai condividere con me le tue riflessioni, come sempre, sai dove trovarmi!
Buona settimana e buon nuovo inizio a te ❉
Simona
R. Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, 2003