Rieccomi, come promesso!
Lunedì mi era sembrato, infatti, di aver troncato il discorso a metà e - te lo assicuro - in tutti i giorni successivi ho continuato a pensare che oggi avremmo potuto riprenderlo.
Si stava parlando di futuro, ricordi?
Scrivevo questo:
Quindi mi dico che, sì, è proprio vero che la prospettiva scolastica è retta tutta dal desiderio di introdurre altri individui a farsi carico del (loro e di tutti) futuro. Attraverso le discipline e i loro metodi specifici, così come attraverso quell’altro, che esula dalle programmazioni disciplinari ma che continua a prendere sul serio il futuro degli studenti
Vorrei tornare oggi, infatti, sull’abilità (educabile!) della prospectio, - onis, la miscellanea di previsione, sollecitudine e cura che fa di noi degli esseri umani non intimoriti dalla necessità di seguire una direzione. Immaginare, figurarsi un futuro (a livello individuale oppure collettivo) è una capacità che condividiamo con altri animali; essa consente di organizzare i propri comportamenti in vista di un certo scopo, quindi orientandosi verso il futuro. A seconda dell’animale e delle situazioni, lo scopo può essere l’ottenimento di cibo, di un partner oppure di un lavoro soddisfacente! Pensare al futuro aiuta a compiere decisioni, permette di stabilire degli obiettivi e di raggiungerli e - cosa non da poco - fa coltivare la cooperazione e la generosità.
A che cosa dobbiamo la capacità mentale di pensare al futuro?
Certamente, la memoria è coinvolta: la conoscenza di ciò che è accaduto nel passato è indispensabile per prevedere che cosa potrebbe accadere nel futuro. Benché… ricordi quando ti raccontavo del paradosso del vampiro?
Lo nominavo qui…
Alcune ricerche di psicologia cognitiva hanno dimostrato che, quando un individuo deve prevedere un evento che plausibilmente accadrà in un contesto a lui familiare, egli lo descriverà con abbondanza di elementi riferibili a percezioni sensoriali. In termini di fisiologia neuronale, si ritiene che la prospezione coinvolga massivamente il funzionamento cerebrale ‘di default’, attivo quando il soggetto non è coinvolto in un compito particolarmente specifico. Questo suggerisce che l’attività prospettica è una modalità che il nostro cervello ha evoluto tale da mantenere attive e in stato di attenzione le nostre menti, coinvolgendosi in una serie di ‘viaggi mentali nel tempo’ che hanno lo scopo di simulare e prevedere futuri scenari.
[Non mi addentrerò ulteriormente nell’ambito neurologico, perché temo di non riuscire più a fermarmi! Se ti interessasse, però, la questione (che è, in definitiva la questione dell’origine della nostra facoltà di orientarci nel mondo, cioè della facoltà linguistica, sommessamente non posso far altro che rinviarti al saggio che scrissi qualche anno fa: Come siamo diventati umani. Se dovessi leggerlo, mi farà piacere sapere che cosa ne pensi…]
Continuerei invece ragionando del vantaggio prospettico (che fu innanzitutto evolutivo, ma che è quindi vantaggio per la vita di ognuno).
Innanzitutto - ricerche di neuroimaging lo hanno dimostrato - la simulazione di eventi non ancora accaduti pare che sia strettamente legata al ricordo di luoghi definiti. Questa cosa mi piace molto, devo dirti. Il fatto, cioè, che per prendere una decisione - eventualmente anche molto importante per la nostra vita - abbiamo bisogno di tornare con gli occhi della memoria ai luoghi a noi cari. E quindi penso ai miei studenti, ai miei dodici-tredicenni che stanno iniziando ad avviare le loro riflessioni e considerazioni riguardo alla scuola superiore… Non li sentiamo forse, in tali occasioni, esprimersi in termini quali “mi ci vedo proprio, in quella scuola, prof!”? Sono giunta a pensare che frequentare gli open days (croce, senza delizia, delle famiglie!) non serva ad alcunché se non a permettere allo studente, alla studentessa, di visualizzarsi in quel luogo, di proiettare l’immagine del futuro Sé in quei corridoi, davanti a quelle macchinette del caffè. I concetti, le riflessioni, vengono dopo: prima, è necessario posizionare la sagoma sul ‘via’.
A confermare questa bozza di argomentazione, voglio raccontarti il caso di una mia ex-studentessa.
L. era molto brava alle medie; ed è stata anche molto brava alle superiori, del resto.
MA… L. aveva scelto il liceo che avrebbe poi frequentato senza mai andare a vederlo, senza partecipare ad alcuna riunione o ‘giornata aperta’. Aveva scelto - in modo anche assolutamente coerente con il nostro consiglio orientativo - sulla base delle sue aree di interesse e delle sue competenze. Al termine dei cinque anni di liceo, la situazione si ripropose. L. scelse la facoltà universitaria ‘sulla carta’, valutando l’area cognitiva che sentiva maggiormente corrispondente a sé. Giunta a metà di un percorso accademico eccellente (davvero eccellente…), decise di abbandonare l’università. Un percorso di psicoterapia, che nel frattempo aveva intrapreso, le consentì di capire quanto le sue scelte scolastiche - per quanto perfette, sulla carta - non le avessero tuttavia permesso di visualizzare se stessa nel suo futuro. Non sto ipotizzando che se L. fosse andata agli open days avrebbe scelto diversamente né che la sua storia sarebbe necessariamente stata differente; suggerisco, invece, che il fatto di non aver voluto recarsi nei futuri luoghi di studio fosse già sintomo di una difficile relazione di L. con se stessa.
Se siamo genitori, quindi, stringiamo i denti e portiamoli ovunque vogliano andare!
Nella parte successiva, affronterò il tema della dipendenza dall’età della capacità prospettica. Possiamo dedurne dei suggerimenti di azioni da intraprendere, a seconda dell’età dei nostri studenti e figli?
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