Hai mai letto qualcosa di Seth Godin? Libri, articoli, blog posts… parti pure dal formato che preferisci, ma ti consiglio di aggiungerlo alle tue periodiche frequentazioni extra-scolastiche. Prima ancora di progettare a inizio anno il lavoro sulle prove Invalsi e di ‘somministrare’ (solo io lo trovo un verbo orribile? E che denota proprio quell’idea di scuola nella quale sono fiera di non riconoscermi!) le simulazioni ai ragazzi, ricordo sempre a me stessa un aspetto fondamentale. E cioè che il cosiddetto pensiero ‘divergente’ o ‘flessibile’ che dir si voglia - quello che genera innovazione, tanto per intenderci - si educa anche da adulti.
La matura competenza professionale è data da (non così) sporadiche immersioni in ambiti che ci sono assolutamente estranei. Non so se questo indichi la celebre chiamata ad uscire dalla comfort zone (zona che, per le mie caratteristiche di individuo, è la zona nella quale continuo ad amare risiedere); in ogni caso, credo che la divagazione sia l’ingrediente principale per rendere ‘visionaria’ la nostra professione. Quel che desideriamo per i nostri studenti - e che perciò tramutiamo quotidianamente in attività didattiche - non è forse offrire loro tutti gli strumenti possibili affinché siano i primi a vedere la novità laddove gli altri hanno riconosciuto soltanto l’ovvio?
Se questo è lo scopo, dedichiamo noi in primis del tempo (la maggior parte del nostro tempo ‘fuori aula’, oso affermare) a bighellonare sulle strade non battute (*). Non è un caso che le volte scorse ti abbia infatti citato Ken Robinson, oggi Godin…
Insomma… torniamo a noi. In uno dei suoi ultimi post, Godin ricorda come si faccia spesso di tutta l’erba un fascio, per quanto riguarda la definizione di problema. E - aggiungo io - di come si rischi di dimenticare che esistono diverse tipologie individuali di studente corrispondenti a tali diverse definizioni. Non ho potuto fare a meno, leggendo le parole del post, di immedesimarmi nel docente che fa lezione.
In sostanza, per Godin esistono diverse categorie di ‘risposta al problema’, cioè diverse categorie di individui che si pongono davanti al problema:
vi è chi riconosce e si concentra solo su problemi ‘conosciuti’ e rispetto ai quali si sente di poter proporre una risposta. Negare le domande ‘fuori comfort zone’ è, per costoro, molto più semplice che non decidere di considerarle;
vi è chi sceglie di vedere solo i problemi che fanno riferimento a situazioni effettivamente irrisolvibili, e che quindi amplificano il sentimento di inadeguatezza (è una scelta, sì);
vi è chi preferisce i problemi agili, urgenti, poiché si sente elettrizzato nel mettersi alla ricerca della soluzione;
vi è chi, al contrario, vede nel suo orizzonte soltanto i problemi a lungo termine
Ciò che vi è di drammaticamente ironico, in tutto ciò, è che la vita - ancor prima che la scuola - ce le presenta tutte, queste tipologie di problema. Incurante del fatto che noi ci sentiamo più affini alla categoria umana numero 1 o numero 4. E ogni volta, dovremo fare un bel respiro e tentare (e, quasi sempre, sbagliare) la risposta.
✤ Evviva quindi la scuola intesa come spaziotempo nel quale ogni studente conosce chi è, accetta il suo modo di affrontare la domanda, incontra le tipologie più varie di problema. In ogni istante dell’ora di lezione.
✤ Evviva la scuola nella quale non esiste il ‘quaderno dei problemi’ (che lascia sottinteso come, in classe, si passi il tempo soltanto a farsi riempire di ‘teoria’). Se teoria è ‘visione’, allora non vi è modo migliore di acuire la vista che non sia quello che passa dal chiedere di guardare oggetti alternativamente vicini e lontani. Domande conosciute e domande fuori contesto, domande urgenti e ‘grandi domande’.
Non credi anche tu che è così che alleneremo i nostri studenti a stare al mondo..?
(*) Mi viene in mente un libro incredibile, brandelli dell’epistolario di un uomo incredibile: Richard Feynman. Deviazioni perfettamente ragionevoli dalle vie battute è la raccolta delle lettere scritte dal premio Nobel per la Fisica, nel corso della sua carriera. Chi, come me, prova un senso di (timorosa, a volte) reverenza nei confronti della fisica, non può che amare Feynman. Oltretutto, il buon vecchio Dick fu proprio il prototipo del ‘pensatore fuori dagli schemi’! Sarà per questo che ha vinto anche il Nobel??
[che cosa ne dici se i primi post della sezione Visioni li dedicassi a quel libro?]
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Buona settimana!
Simona