Ciao. Credo tu lo abbia ormai capito: un tema che ho molto caro (di per sé) e che considero rilevante in termini di Teacher Education è il metodo della creatività. O della creatività come metodo, espressione che forse preferisco.
♧ a proposito, sto progettando la prossima Stanza di Valore. Vorrei intitolarla proprio “Il docente creativo”... cosa ne dici, ti piace? ♧
Foto di Nick Fewings su Unsplash
Uno dei concetti che riscontro essere peggio interpretati, nella scuola, è quello di rigore. Te ne parlo qui, adesso, perché comunemente è l’ambito che viene pensato o proposto in antitesi a quello ‘creativo’. Essere creativi è cool, essere rigorosi è da vecchi noiosi. Né l’una cosa né l’altra, in realtà. E se insegni Arte, Storia dell’Arte o Tecnologia, forse potresti cogliere il punto più rapidamente di un tuo collega. Perché la cosa bella è che la creatività si manifesta come rigore. Anche nella scuola. Anche se sei un docente.
Ciò che trovo triste e drammatico - mi metto nei panni di uno studente - è che il rigore venga sventolato come un fantomatico (irraggiungibile) traguardo e soprattutto venga descritto con degli indicatori che non gli appartengono. Primo fra tutti, la precisione.
“Che cosa??? Mi stai forse dicendo che non dovremmo lavorare affinché i nostri studenti acquisiscano la precisione nell’uso del linguaggio specifico delle diverse discipline?”
Assolutamente no. Non sto dicendo questo. Perché è evidente che la precisione nell’uso dei linguaggi consenta di descrivere con accuratezza la realtà davanti alla quale essi si pongono. Sto però affermando - e mi prendo tutta la responsabilità di questa azione1 - che diventiamo capaci di affrontare in modo rigoroso un qualsiasi aspetto quando lasciamo che la precisione lasci spazio all’ambiguità. Sbam!
La creatività si nutre di ambiguità, più che di precisione. O meglio, la precisione è il livello UNO della scala del rigore; gradino che però deve essere sorpassato per procedere oltre. Questo non toglie che si possa anche fare un passo (o due) indietro, se servirà.
Percorrere per intero la scala del rigore significa muoversi nel terreno della creatività
Il dramma che osservo - in alcune modalità che abbiamo di presentare la nostra azione didattica, che sia al dirigente, alle famiglie… agli studenti! - è dato dal rendere quella scala un podio con un’unica posizione. Se sei ‘giù’, sei ancora non-istruito; quando sali (in un processo tutto-o-nulla, perciò), è perché sei stato istruito a padroneggiare la precisione nell’uso del linguaggio e sai affrontare la disciplina con rigore. NO.
In quella condizione, non riesci affatto ad affrontare la disciplina con rigore; perché ti mancano tutte le risorse portate, appunto, dall’ambiguità. La tua frequentazione della disciplina non sarà rigorosa semplicemente perché tu sarai solo un ‘intelligenza artificiale’, ed essere creativo sarà il tuo miraggio.
Hai mai letto “Le parole di Einstein”? (adoro Dedalo edizioni!)
Se vi è un volume che ha detto - in modo straordinariamente migliore di quanto potrei mai dirlo io - ciò che penso della conoscenza, della scienza, ed anche della scuola… quello è. Del resto, il sottotitolo - “comunicare scienza fra rigore e poesia” - è un’ode all’intelligenza umana, di per sé.
Gouthier e Ioli affrontano il tema da un punto di vista filosofico, sicuramente, ma disseminando il percorso di esempi concreti: citano personalità che tutti noi riteniamo ‘di spicco’, in ambito scientifico, e che lo sono diventate solo perché hanno saputo procedere oltre sulla scala del rigore. Gli autori dimostrano quindi che l’innovazione - perlomeno nel campo scientifico - deve necessariamente essere preceduta da un habitus mentale (mi piace di più di mindset !) che intenda il rigore a tutto tondo.
La voce critica interiore - ormai è co-autrice di queste Lettere! - mi interrompe e dice: “ma si diventa creativi con l’età” e “non puoi fare di tutta l’erba un fascio”
No, guarda, fermati subito, perché questa volta proprio non hai capito, voce! Il rigore NON si supera, si percorre (vocina, l’ho scritto prima… torna su a leggere!). E, con ‘erbe’ intendiamo quindi le diverse età dello studente? Come a dire: ad uno studente delle superiori possiamo chiedere di esprimersi in modo creativo (perché negli anni precedenti avrà assimilato la precisione) mentre ad uno della primaria dovremo insegnare a leggere, scrivere e far di conto. Poche storie, pochi voli pindarici. E come la mettiamo, allora, con l’esperienza quotidiana che ci dice esattamente il contrario? Non tanto l’esperienza di proposta didattica (posto anche che esista una scuola primaria dove ai 6-11enni venga chiesto solo di allenarsi all’acquisizione di linguaggi), ma proprio l’esperienza umana di che cosa sia un bambino di 6 anni e di che cosa lo muova.
Il tutto-o-nulla, nell’educazione, trovo funzioni davvero poco. Un quattordicenne non si scoprirà un animo da poeta se mai avrà avuto esperienza di possederlo; un diciassettenne non valuterà nemmeno la possibilità di creare una nuova matematica (Newton - o Leibniz, non so di quale scuola tu sia! - non ti dice niente, a questo proposito?) se avrà avuto per undici anni esperienza di una disciplina dove il rigore si identifica con la precisione. La matematica pre-calcolo infinitesimale sembrava precisa; o meglio, lo è stata finché il suo terreno di applicazione si è mantenuto ridotto. Quando i confini si sono espansi, è stato necessario l’azzardo dell’ambiguità. Soltanto in questo modo, la matematica è diventata più rigorosa. Più descrittiva e più creativa. Più poetica, insomma.
Interessante, la professione del docente… Un continuo gioco a far credere che la stanza sia chiusa. Finché non si estragga dalla tasca una chiave anonima, che apre una porta che era mimetizzata nella parete. Nell’altra stanza, tutto ciò che avevamo imparato ad utilizzare con precisione molto probabilmente non servirà a nulla.
“Pensa divergente”, non si dice così, del resto?
Ho avuto un’idea, a questo proposito.
Prossimamente - potrebbe anche essere in settimana - ti proporrò di partecipare (gratuitamente) ad un momento di riflessione condivisa. Ci troveremo su Meet, per un’oretta. Vorrei raccontarti per sommi capi quello che sto progettando relativamente all’uso (e all’incoraggiamento) della creatività come metodo: ti darò qualche anteprima della Stanza di Valore #4: Il docente creativo. Vorrei che fosse quanto più diffusa una idea ‘diffusa’ di creatività, affinché ogni docente possa sentirsi competente perché innovatore. E in modo tale che tale competenza possa poi essere - autonomamente e creativamente - riversata nell’attività in classe.
L’evento sarà rivolto agli abbonati alla newsletter. Se già lo sei, nel post troverai il link Meet; se ancora non lo sei, magari puoi pensarci…
Ci si legge comunque lunedì prossimo! Ciao e buona settimana!
Simona
del resto, se ricordi, avevo posto in apertura di questo progetto la decisione che si trattasse di condividere tra me e te lo spirito ‘gentile’, certo, ma di una ‘rivoluzione’. E mi risulta che le rivoluzioni si compiano ‘mettendoci la faccia’...