Ma siamo proprio sicuri di essere in grado di valutare?
Di desideri buoni e belli, di scarti e di irraggiungibilità
Manca meno di un mese a Natale!
Poiché credo nella sostenibilità delle attività e dei percorsi culturali, ho pensato di offrire, durante tutto questo periodo, gli abbonamenti annuali alle Lettere al 50% del loro costo.
Da oggi fino al 24 dicembre, potrai quindi abbonarti al prezzo di 90 euro invece di 180.
Spero che questa possa essere l’opportunità per regalarti quelle che desidero essere occasioni di riflessione per tutti gli attori coinvolti nel processo educativo
Buongiorno (e buona settimana che ha il profumo dell’aria di neve) ✤
Qualche giorno fa, la mia amica Giulia Lessi (la conosci, vero? È @giuliale82, su Instagram) ha detto una cosa molto giusta, e solo apparentemente scontata: “la valutazione fatta bene fa bene”. Nelle sue parole ho ritrovato esattamente quello che penso della scuola, e soprattutto di come essa noi tutti ci auspichiamo possa diventare. Vi sono i due termini della relazione educativa: quel “fatta bene” che rimanda a noi, ai docenti e al loro lavoro (anzi, forse un lavorìo) riflessivo, e quel “fa bene”, che invece è dedicato agli studenti e di conseguenza alle loro famiglie.
Oggetto e soggetto di tali azioni è proprio la valutazione.
Eccolo lì, lo strumento cruciale, spesso mal gestito da parte di tutti gli attori che calcano il palcoscenico educativo. Quello che può generare (indubbiamente può farlo) ma anche sanare, un conflitto. L’arma che può essere brandita quando abbiamo tutti voglia di fare la guerra, oppure il bendaggio che può servire a mettere a riposo le ferite di una precedente.
“Penser c’est panser” (non ricordo quanto tempo fa riportai questa espressione non mia): pensare, riflettere, è curare. Decidere di avere necessità di tornare sulle ragioni, di esplorare possibilità, di indagarne le teorie, è già - in sé - un prendersi cura della relazione. E quindi, anche un prendersi cura di sé come insegnante (egoisticamente parlando), se non fosse anche un avere a cuore l’altro.
L’estetica incontra l’etica.
È un po’ lo slogan delle Lettere; me lo ero ripromesso, all’avvio di questo progetto e sono felice di poter verificare che tutto quello che ci diciamo entra ogni volta in risonanza con questa visione.
E quindi, oggi è il secondo appuntamento dell’ottava stagione di questi percorsi ‘mini’ delle Stanze di Valore. Valutare è un atto rivoluzionario… cosa ne dici del titolo?
Nell’ottica che ti propongo qui - appunto quella di “pensare per curare” - martedì scorso abbiamo lavorato su qualcosa di talmente fondante da essere dirompente: chi valuta si pronuncia sulla realtà; di più, esprime il proprio giudizio riguardo alla sua accettabilità. Se hai studiato le varie Linguistiche, certamente ti risuonerà ciò che avevi incontrato per la definizione di discorso e di dichiarazione.
Valutare, perciò, significa esprimere il proprio giudizio rispetto ad uno scarto: quello tra la misura osservata e la misura desiderata. Già questo mi sembra straordinario… Ci stiamo riferendo allo scarto tra reale e desiderio, alla possibilità di coprirlo interamente, di guardarlo fin nei suoi due estremi.
Ti sei mai chiesto perché valutiamo?
(e, di conseguenza, perché valutare è un’azione imprescindibile in ogni relazione umana?)
Valutiamo per dimostrare a noi stessi l’importanza del giudizio, e per ridirci che il desiderio è - in linea generale - buono. Troppo banale? Troppo astratto? Troppo… troppo? Io non credo. O perlomeno, per me non è così (e se continui a voler leggere le Lettere, forse non è così nemmeno per te…).
Ho sempre desiderato - appunto! - che la mia professione fosse per me densa di un senso che avrebbe potuto trasformarsi in una sensazione di felicità. Lo so che ‘felicità’ è una parola grossa e scomoda, e a volte sembra quasi una bestemmia associarla all’area lavorativa. Eppure - ripeto, per me funziona così, ma potrei essere un caso assolutamente incommensurabile rispetto al tuo, agli altri - ho sempre inteso il lavoro come la prosecuzione di un ‘gioco’ iniziato da bambina: tentare di mettere a posto il caos che avevo tra le mani. Quando scopro che una tessera trova la sua posizione, be’, ecco… sono felice.
Di caos, rimettere ordine e trovare una propria forza interna ho scritto anche ieri, ispirata dal maestro Baricco!
Mi piace dunque pensare che il gesto di chi valuta sia il gesto più umano e ‘buono’ che ci sia: è l’atto con il quale diciamo al mondo e agli altri che abbiamo un desiderio bello. Un desiderio bello sul mondo e sugli altri, appunto.
Apprezzare uno scarto è perciò già, in se stesso, un valutare.
Potresti chiederti, a questo punto: ma se lo scarto non esiste? Se ciò che ho davanti agli occhi è già perfetto? Se il mio desiderio è stato colmato? Insomma…
quando posso assegnare un bel 10 alla prova di uno studente?
So che ti sto ponendo domande che probabilmente non hanno risposta (personalmente, sono quelle che preferisco!) e che, ben più che probabilmente, ti suonano come filosofiche (la Filosofia è la mia debolezza dell’età adulta, è vero…), però seguimi ancora per qualche riga.
Se i prerequisiti di ciò che è valutazione sono accettabili - all’interno del nostro sistema, fatto da io che scrivo e tu che leggi - allora se non esiste scarto, non dovrebbe esistere nemmeno la valutazione! Vero?
Ahi ahi… quindi ciò significherebbe che posso valutare soltanto finché non raggiungo il desiderio che avevo. Fuor di metafora… che ne è dei 10? E guarda che io sono una grande fautrice dell’uso del 10. Detesto i colleghi che non lo assegnano mai, così, per partito preso (pur utilizzando abbondantemente la scala 0-6!).
Un filosofo francese che ho imparato ad amare (pur con immensa fatica) è Emmanuel Lévinas. All’inizio degli anni Settanta, scriveva più o meno così:
“l’uomo, per la sua sostanza, è condannato ad evolvere. Per questo motivo, ha bisogno di sapere, ogni volta che può, a che punto sia”
In definitiva, per Lévinas, valutare è azione che nasce in conseguenza dell’avere una coscienza.
{Gli articoli del martedì, come forse sai, costituiscono i miei mini-percorsi (ognuno dura 4 settimane) di formazione sostenibile. Ho voluto definire in questo modo la mia proposta per gli abbonati, poiché l’abbonamento mensile a Lettere ad un (giovane) docente costa 20 € e ti garantisce l’accesso completo non solo alle formazioni del martedì (anche a quelle già pubblicate) ma anche alle riflessioni del venerdì.
Anche se non sei abbonato, puoi comunque sempre leggere anche tu un’anteprima dell’articolo.
Se reputassi utile o interessante quello che trovi, potresti considerare la possibilità di sostenere il mio lavoro in questo modo. Grazie ♡}
Oggi ti propongo di inserire l’azione del valutare all’interno della temporalità.
(ovvero, più prosaicamente parlando, di iniziare a revisionare il processo valutativo
{sotto il paywall il percorso continua per gli abbonati. Magari non è per te il momento di investire nella mia attività, ma nel caso trovassi utile o interessante quello che finora hai letto, ti sarei davvero grata se volessi condividerlo con qualche amico o collega. Anche con questo piccolo gesto puoi sostenere la mia ricerca e il mio lavoro. Grazie}
Continua a leggere con una prova gratuita di 7 giorni
Iscriviti a Lettere ad un (giovane) docente per continuare a leggere questo post e ottenere 7 giorni di accesso gratuito agli archivi completi dei post.