“Le non-cose stanno penetrando nel nostro ambiente da tutte le direzioni, e scacciano le cose. Queste non-cose si chiamano informazioni”
(V. Flusser, 1993)
Buon primo lunedì di scuola del 2024 ✲
Mi auguro, ti auguro, un anno del cui trascorrere possiamo sempre essere consapevoli e grati. Senza attendere altro.
Di informazioni, dati, conoscenze e sapere dovremmo essere abituati da tempo (tutto il tempo della nostra professione) a discutere. Confesso di aver accolto con gioia, qualche anno fa, la percezione di quanto le famigerate TIC fossero state soppiantate, nella scuola, da altre riflessioni. Io perlomeno non ne potevo più, di corsi, articoli e volumi che magnificavano il potere di tal tecnica o talaltra nel promuovere gli apprendimenti. È arrivato il Covid ed ha spazzato via tutto! Improvvisamente ci si è dovuti confrontare sul serio con la necessità di continuare a comunicare le discipline e il sistema… e ognuno ha dovuto trovare la soluzione più adatta.
Il concetto di informazione (io l’ho studiato a livello biofisico) è affascinante; ciò non toglie che esso si sia trasformato ormai in una ‘merce di scambio’ globale, che regola ogni forma di comunicazione e le relazioni. Quel che è peggio, esso a volte si trasforma in un cavallo di Troia, di cui appunto abbiamo celebrato l’ingresso nella scuola.
Comunicare è sempre stato un verbo che aveva bisogno di un complemento oggetto: il messaggio. Ed ogni messaggio è un’informazione, in senso stretto. Apprendere è sempre stato un gioco di informazioni da ricevere, accumulare, integrare.
Mi pare tuttavia che anche relativamente alla manipolazione che, nella scuola, abbiamo delle informazioni oggi si giochi gran parte della nostra credibilità come istituzione.
Che ruolo svolgono le informazioni, nella nostra didattica?
Quale peso affidiamo alla conoscenza dei dati, nelle nostre valutazioni?
Riconoscimento delle fake news, analisi delle fonti, elaborazione statistica dei dati sono alcuni esempi delle proposte didattiche che spesso vengono inserite nei percorsi di Educazione Civica ruotanti intorno alla cosiddetta educazione digitale.
Mi sono però chiesta se, quando progettiamo tali percorsi a livello interdisciplinare, abbiamo sempre piena coscienza del software, oltre che preoccuparci dell’hardware (perdona l’ovvietà della metafora…).
✲ Come annunciavo sabato su Instagram, qualcosa sta bollendo in pentola. Il primo nato di quest’anno sarà un percorso su quel software - appunto - che spesso tralasciamo nei progetti di educazione digitale. Ti ripropongo anche qui il sondaggio: preferiresti che il percorso assumesse la forma di uno dei percorsi trimestrali delle Stanze di Valore (come quelle già attive) oppure che fosse un podcast dedicato agli abbonati, qui sulle Lettere? ✲
(ho proprio voglia di riprendere a fare podcast… Anni fa, il progetto Narrare la scienza mi aveva rubato il cuore! Vorrei anche riprenderlo…)
Che cosa intendo con software, per una significativa educazione digitale?
Torna un attimo su con lo sguardo, a quella citazione di Flusser. Torna alle ‘sue’ non-cose, il cui avvento egli paventava, ormai in piena - anzi, già avvenuta - rivoluzione digitale. Se, riguardo all’hardware dei progetti che ho citato, mi sento di possedere la competenza-base di un qualunque utente di mezza età della rete (magari anche un pochino boomer!), posso affermare di aver a lungo approfondito la dimensione ‘filosofica’ della digitalizzazione (dopo tutto, un software non è che una componente immateriale, un insieme di istruzioni, un metodo).
In particolare, ho potuto farlo grazie ai testi del filosofo sudcoreano Byung-chul Han (da essi avevo preso spunto anche per il percorso di otto settimane dedicato alla distrazione, questa estate, ricordi? Iniziava così…) ↴
L’educazione ad un uso consapevole del digitale, per ognuno dei nostri attuali studenti, significa - né più né meno - educazione alla vita. Dall’alto dei miei 53 anni, posso dire di mantenere solidi ricordi della mia passata ed esclusiva ‘vita analogica’; ciononostante, essi sono costantemente affrontati da un ‘metodo digitale’, che indubbiamente mi facilita l’esistenza ma del quale devo (voglio?) avere continua percezione.
Le tracce analogiche, nella vita di un individuo che abbia tra i 6 e i 20 anni, non soltanto scarseggiano, come è ovvio, ma è soprattutto la loro portata nella costruzione della personalità che è andata ridimensionandosi.
Questo non è, di per sé, necessariamente un male. A patto che la persona si mantenga capace di riferirsi al mondo delle cose, che è - ahimè o fortunatamente, a seconda dei gusti… - ancora analogico.
Mi piace pensare ai softwares dei ‘progetti di educazione digitale’ come ad una serie di metodi, prospettive, sguardi, attività che accompagnino gli studenti attuali (che non sono nemmeno quelli di cinque anni fa) a saper vivere nel loro mondo.
Che cosa ne dici? Io sono entusiasta all’idea di iniziare.
Buona settimana!