Buon sabato ♡
(il nostro appuntamento del venerdì è slittato ad oggi… Sì, mi sono presa un ‘giorno libero’ perché mi sentivo piuttosto affaticata)
Venerdì scorso avevo iniziato ad esplorare le aree contigue dell’interesse - anzi, degli interessi, ricordi? - e della motivazione.
(puoi recuperare l’articolo qui sotto)
Perché ho deciso di analizzare a fondo i papers degli scienziati cognitivi che in quell’articolo citavo?
Mi sono accorta che, anche oggi, ci si rivolge ai docenti che sono coinvolti nell’impresa orientativa proponendo una strategia che si basa sempre una narrazione standard: “come trasformare il talento in motivazione”, “far emergere i talenti di ogni studente”, “come favorire lo sviluppo del talento” etc.
Che cosa trovo di ‘sbagliato’ in questo tipo di narrazione?
Innanzitutto il concetto di talento. Diversa è infatti la prospettiva di vita che ci si spalanca davanti se lo intendiamo come una ‘moneta da spendere’ oppure come un ‘carattere individuale da esplorare’. Niente di male in nessuna delle due accezioni, ma vanno chiarite. E innanzitutto deve chiarir(se)le l’orientatore/tutor che accompagna lo studente.
(di conseguenza) siamo certi che un talento (duplicemente inteso) - che si possiede/scopre a 14 oppure 19 anni - identifichi necessariamente la direzione che l’immediato futuro dovrebbe prendere?
da ultimo, il legame che esiste fra talento e motivazione non è mai così esplicito e soprattutto assume caratteristiche individuali, dovute all’ambiente emotivo e al contesto dato dagli altri talenti. Di qui, la provocazione: siamo sicuri che il talento che sto ‘motivando’ sia effettivamente quello che indirizzerebbe l’interesse (esplicito o latente) del soggetto con il quale sto lavorando?
Il punto [1] si ricollega ad una concezione, che ho già più volte espresso, che vede lo studio e la scuola NON come ‘strumenti’ che servano a posizionarsi in un universo lavorativo (perlomeno quello delle posizioni dipendenti) sulle cui regole non abbiamo voce in capitolo e le cui dinamiche dovrebbero, piuttosto, essere previste ed immaginate. A coloro i quali taccerebbero di luminosa utopia quanto affermo, risponderei citando la storia della scienza, per la quale i passi di ‘evoluzione’ sono sempre stati eventi di rivoluzione - cioè di rottura con quello che era l’universo conosciuto, le dinamiche prestabilite - e di visione, cioè di proposta di qualcosa di altro e di più ampio.
[questa è, fondamentalmente, la ragione per la quale gli appuntamenti del venerdì delle Lettere ad un (giovane) docente appartengono alla sezione che ho chiamato Visioni]
I punti [2] e [3] sono invece alla radice dell’analisi dell’interesse, che ho iniziato la scorsa settimana.
Ad esempio, venerdì scorso ho sottolineato quello che mi sembra IL punto di lavoro per un docente orientatore (mi perdonino le altre figure coinvolte nell’orientamento, figure professionali che non sono responsabili della programmazione delle attività, della scelta dei brani da proporre, delle modalità di ascolto e di coinvolgimento degli studenti).
È sull’interesse di tipo individuale dello studente che dobbiamo fare presa? O invece è sulla sviluppo dell’interesse di tipo situazionale?
Come si può aiutare la transizione da interesse situazionale alla sua sottocategoria che è l’interesse di tipo topico?
Evidentemente noi abbiamo a cuore tutte le forme di interesse, ma fermiamoci un istante a ragionare: agiamo sull’una e sull’altra di queste categorie dell’interesse in momenti decisamente diversi del nostro ‘fare scuola’.
Nella sezione seguente, ti porterò degli esempi di situazioni didattiche che possiamo progettare e includere nella nostra programmazione, a seconda di quale sia la forma di interesse del nostro studente alla quale vogliamo dare seguito.
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