“La fragilità insomma è una forma di vita che, alle parole che vengono dette, alle cose che vengono fatte, imprime il sigillo della delicatezza e della accoglienza, della comprensione e dell’ascolto, della intuizione dell’indicibile, che si nasconde nel dicibile, dell’invisibile, che si intravede nel visibile”
(E. Borgna, Le passioni fragili, 2017)
Ci sono parole che accompagnano e definiscono le diverse epoche storiche.
[forse anche quelle micro-storiche, quelle delle singole esistenze di ognuno… Ad esempio, se dovessi dirmi qual è la parola che ti accompagna in questo preciso tuo tratto di vita, quale sceglieresti? La mia è VISIONE!]
Sappiamo infatti benissimo che la parola che ha esteso i suoi tentacoli su tutti gli aspetti e fenomeni dei primissimi anni del XXI secolo fu “resilienza”. Dovevamo tutti essere resilienti, in modo da non lasciarci spezzare dagli urti della vita (o perlomeno in modo da non mostrarlo agli altri): la cultura - e il culto - della produttività ad oltranza e a tutti i costi imponeva ad ognuno di non cedere mai.
[anche tu l’hai sempre odiata come me?]
Quasi a dimostrare la necessità di un inevitabile contrappasso, gli ultimi anni si sono illuminati della fioca luce della fragilità. Questo è invece un termine che amo molto, perché credo descriva alla radice l’essere umano.
Non ho le competenze per affrontare l’analisi delle conseguenze da un punto di vista psichiatrico, ed è proprio per questo motivo che ho imparato molto dalla lettura del volume di Eugenio Borgna, “Le passioni fragili”.
Quello che mi interessa capire è perché noi adulti - docenti e famiglie - dovremmo imparare ad abitare la fragilità dei nostri studenti, figli e figlie. “Abitare” che è molto più di “riconoscere”, che già sarebbe un ottimo traguardo: starci dentro insieme a loro, nel profondo delle loro esistenze, riconoscendovi lo stesso respiro che è nelle nostre (o comunque che è stato nelle nostre, quando eravamo adolescenti).
Non voglio - perché non so farlo - quindi parlare della fragilità che fa ammalare, quella che fa del male a se stessi e fa compiere il male su altri.
Voglio chiedermi come posso accompagnare più efficacemente i miei studenti, avendo riconosciuto in loro ciò che caratterizza me stessa. E voglio anche capire come lavorare sulle nostre rispettive fragilità, in modo da essere un’insegnante migliore io, e da aiutare loro a crescere con meno terrore di ciò che sono e saranno.
Borgna afferma che:
“recuperare il significato della fragilità, la sua complessità, e le sue metamorfosi, e riconoscerne le tracce negli altri, è un dovere morale, un servizio, al quale siamo tutti chiamati”
Mi piace tantissimo l’espressione “metamorfosi della fragilità”, perché credo che chiunque si trovi a vivere qualche ora al giorno con i giovani (da docente oppure da componente di una famiglia) sa benissimo che la caratteristica della fragilità è di nascondersi, il più delle volte, sotto mentite spoglie. L’esperienza, l’attitudine a stare con i giovani e giovanissimi, certamente aiutano a saperle riconoscere. Di più, si tratta di un’esperienza che aiuta anche noi, a stare con noi stessi. Ad accettarci, riconoscerci e provare il desiderio di continuare a crescere.
Gli studenti hanno uno speciale sesto senso: fiutano al primo istante chi gli sta davanti con quel desiderio, di continuare a crescere ed esplorare. E costui, costei, tenderanno a non abbandonare. Evidentemente continuando a ‘farci la guerra’, a metterlo/a in crisi, a rifiutarne di primo acchito le proposte, ad utilizzarlo/a come se fosse una pallina anti-stress. Perché, tutto sommato, lo è anche.
Mesi fa, durante il percorso mensile della Stanza di Valore dedicata al Prendersi cura, scrivevo così:
“Qual è la radice della necessità del prendersi cura della sofferenza altrui? Se è vero che la sostanza della vita è il tempo, la vita è un percepirsi accadere di attimo in attimo; in questo fluire di un eterno presente, l’angoscia della consapevolezza del suo inevitabile tendere alla fine viene mitigata dalla sensazione di riuscire a dare un senso all’insieme, attraverso la tessitura delle briciole. Nella sofferenza, il tempo muta qualità: esso diventa un continuum compatto, impenetrabile. La percezione che associamo alla sofferenza è proprio quella di soffocamento”
Qui sotto trovi l’articolo completo:
Ne approfitto per ricordarti che puoi accedere al percorso che ho citato (Prendersi cura), così come agli altri cinque percorsi di accompagnamento mensile che si sono già conclusi, acquistando il Volume 1 de I Martedì delle Lettere. Qui trovi la descrizione del progetto, con le indicazioni per l’acquisto
“La fragilità è nostalgia di ascolto”
ancora con le parole di Borgna.
Non possiamo essere altro che fragili, tutti e tutte, perché abbiamo - tutti e tutte - il disperato bisogno che ci sia qualcuno all’altro capo del cavo. Mentre sostiamo così, in tensione, all’ascolto, non abbiamo tempo né voglia di ascoltare le urla ossessive del mondo, di adeguarci alla norma, di subire il fascino di chi ci vorrebbe con sé solo per non sentire più tutta la sua inadeguatezza e solitudine.
In questi giorni ci stiamo interrogando su come poter educare al rispetto, nella scuola.
Forse iniziare sintonizzando noi stessi e le nostre discipline su quel desiderio di ascolto non sarebbe una cattiva cosa…
Buona settimana ✩